Le neuropatie motorie distali ereditarie (dHMN) sono un gruppo di malattie genetiche rare dovute a degenerazione dei motoneuroni, in particolare quelli che si trovano nel corno anteriore del midollo spinale, che determinano il manifestarsi di debolezza e atrofia muscolari con avanzamento lento, simmetrico e progressivo.
Le forme di dHMN di cui ci occuperemo non sono comunemente caratterizzate da compromissione della componente sensoriale.
Si tratta di malattie eterogenee dal punto di vista genetico, ovvero sono causate da geni e mutazioni diversi, il che evidenzia il fatto che le dHMN costituiscono un continuum patologico con genotipi e fenotipi variabili piuttosto che essere una singola malattia.
Tra i geni coinvolti vi è SIGMAR1, che codifica per il recettore Sigma-1, una proteina ubiquitaria localizzata nelle membrane interne delle cellule umane, ma presente anche in lievito, in topo e nello zebrafish, che svolge importanti funzioni di regolazione dell’omeostasi e dei segnali intracellulari.
Ogni tipo cellulare esprime livelli differenti di recettore Sigma-1 e neuroni e motoneuroni sono tra le cellule con lo esprimono maggiormente. Ciò spiega il perché questa popolazione cellulare sia la più colpita quando Sigma-1 è mutato.
Che tipo di fenotipo si associa a questa mutazione? Lo spiega la dott.ssa Giorgia Pallafacchina, ricercatrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IN) che opera presso i laboratori del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova.
Pallafacchina nel 2016, insieme al prof. Giovanni Vazza, del Dipartimento di Biologia della stessa Università, ha individuato due mutazioni di Sigma-1 in pazienti italiani con dHMN.
«La patologia associata a questa mutazione fortunatamente non è devastante, seppur debilitante. I soggetti affetti presentano i primi sintomi di debolezza muscolare e una progressiva difficoltà a deambulare a partire dalle prime decadi di vita, con un graduale peggioramento nel tempo fino all’assestarsi del fenotipo, quando l’avanzamento della malattia rallenta, di solito verso i 50 anni.
Età di esordio e progressione clinica non sono però univoci, e variano da paziente a paziente. La possibilità che ci sia anche un coinvolgimento del sistema nervoso centrale con alterazione delle funzioni cerebrali-cognitive è probabile, ma ad oggi ancora oggetto di studio e valutazione».
Perché i motoneuroni sono le cellule maggiormente colpite? La ragione risiede nella loro anatomia: sono cellule grandi, lunghe anche parecchi centimetri, sottoposte a elevato stress metabolico per il loro continuo funzionamento come trasportatori e trasduttori dell’impulso nervoso. In più, esprimono elevate quantità del recettore Sigma-1.
Quando questo recettore è mutato, non è più in grado di garantire piena regolazione della omeostasi cellulare e dei segnali calcio, che sono fondamentali per assicurare un efficiente metabolismo energetico e la sopravvivenza cellulare. Ne consegue che i motoneuroni soffrono e, alla lunga, degenerano.
«Al momento non c’è ancora una cura per i pazienti con dHMN e questa patologia viene curata esclusivamente con farmaci di supporto e fisioterapia. Il nostro intento è quello di colmare questa lacuna e trovare un approccio farmacologico che, agendo sulla proteina Sigma-1 mutata, ne ripristini le funzionalità e il ruolo nella fisiologia cellulare».
A tal fine la dott.ssa Pallafacchina ha proposto alla Fondazione francese AFM-Telethon uno studio pilota in cui «testeremo in un sistema in vitro su cellule malate, ovvero che esprimono il recettore Sigma-1 mutato, centinaia di composti, tutti già in uso o comunque approvati dalla FDA statunitense, per valutarne l’effetto sul recupero delle funzioni e dell’omeostasi cellulare.
Abbiamo deciso di muoverci in questa direzione perché se, come speriamo, riusciremo a individuare uno o più composti attivi capaci di ripristinare le proprietà di Sigma-1 nelle cellule malate, questi saranno papabili candidati per l’immediato utilizzo in terapia contro la dHMN.
Il fatto che nel nostro studio utilizzeremo farmaci già approvati accelera di molto il lungo percorso che di solito va dall’ottenimento dei risultati scientifici all’applicazione terapeutica. Partendo da farmaci già approvati si potrà infatti, in tempi brevi, passare a sperimentazioni cliniche, a tutto vantaggio dei pazienti».
Inoltre, questo approccio, accorciando i tempi complessivi della ricerca e sperimentazione, ne riduce allo stesso tempo i costi, aspetti cruciali da tenere in considerazione, soprattutto quando si parla di malattie rare. È noto come, spesso, i gruppi di ricerca che lavorano su queste malattie fatichino a trovare finanziamenti.
Il progetto di Pallafacchina lo ha ottenuto: il sostenitore sarà l’ente francese per la ricerca sulle distrofie e malattie neuromuscolari AFM-Telethon (Association Française pour la Myopathie), che finanzierà questo primo anno di progetto.
La speranza è che poi, una volta ottenuti i risultati del presente studio, essi possano servire a ottenere altri finanziamenti per proseguire il percorso di questa importante ricerca.
Stefania Somaré