Sta cambiando l’approccio terapeutico alla miastenia grave, malattia autoimmune, rara e cronica, che interessa le giunzioni neuromuscolari. Grazie alla compenetrazione di diversi know-how – medicina, biologia, immunologia, ingegneria biomedica, intelligenza artificiale – si è arrivati alla formulazione di molecole superspecializzate che hanno consentito il passaggio da una terapia immunosoppressiva generica a una terapia di precisione, efficace, dall’azione rapida e con effetti collaterali contenuti.
La patologia
Il meccanismo di insorgenza non è del tutto noto: accade che il sistema immunitario nella MG si attiva producendo anticorpi circolanti diretti contro i recettori muscolari, compresi il recettore dell’acetilcolina (AChR), della tirosin chinasi muscolare (MuSK) e dell’LRP4, compromettendo la normale trasmissione degli impulsi nervosi che stimolano la contrazione dei muscoli. Tra le più diffuse fra le malattie rare, la MG interessa in Italia all’incirca 15.000 pazienti: un dato approssimativo in mancanza di un registro pazienti nazionale.
La malattia può manifestarsi a qualsiasi età, più comunemente nelle giovani donne tra i 20 e i 40 anni e negli uomini tra i 50 e i 60 anni, con un aumento di casi negli ultimi anni anche negli anziani dove la gestione della patologia diventa più complessa a causa delle comorbidità spesso presenti.
Nell’85% dei casi, nell’arco di 24 mesi, la MG progredisce verso la Miastenia Grave Generalizzata (gMG), coinvolgendo tutti i muscoli del corpo, a partire da iniziali disagi oculari – indebolimento della muscolatura degli occhi, palpebre cadenti, visione – fino a causare la mobilità degli arti superiori e inferiori, impattando anche su linguaggio, masticazione e deglutizione, compromissione della funzione respiratoria.
La malattia ha andamento fluttuante in cui si alternano miglioramenti spontanei e peggioramenti acuti che possono culminare nella crisi miastenica con necessità di ospedalizzazione e trattamento medico immediato.
Un cambio di paradigma terapeutico
Negli ultimi 8 anni la ricerca e la sperimentazione clinica si è incentrata sullo studio e sviluppo di farmaci capaci di bloccare alcuni dei meccanismi patogenetici anticorpali alla base della MG o a ridurre la presenza di alcune sottoclassi di anticorpo, disegnando un significativo cambiamento nella prospettiva terapeutica.
Oggi si dispone di farmaci più specifici, nell’ottica della medicina di precisone, e con rapidità d’azione in cui esiti importanti sono già visibili ad una settimana-10 giorni dal trattamento.
«Senza l’avanzamento dell’ingegneria genetica non saremmo arrivati a questo obiettivo. I farmaci di cui oggi disponiamo – spiega Renato Mantegazza, direttore della Struttura Complessa di Neuroimmunologia e Malattie Neuromuscolari dell’IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano – sono frutto di elaborazioni e manipolazioni di laboratorio che hanno reso molto più efficaci e stabili queste molecole, spesso di derivazione dagli stessi anticorpi monoclonali opportunamente modificati e resi non aggredibili dall’organismo e ad alta tollerabilità».
Tra queste molecole si distingue efgartigimod alfa, un frammento di anticorpo di altissima precisione, progettato per legarsi al recettore Fc neonatale (FcRn), che inibisce l’azione dell’immunoglobuline IgG, fattori alla base della MG.
AIFA ne ha recentemente approvato la rimborsabilità nel trattamento, in aggiunta alla terapia standard, di pazienti adulti con gMG, positivi all’anticorpo anti-recettore dell’acetilcolina (AChR).
Tali opportunità fanno ipotizzare che nel futuro l’approccio alla MG subirà un sensibile cambio di paradigma con l’uso iniziale di farmaci altamente specifici seguiti da quelli più convenzionali. Ulteriore buona notizia: gli studi in corso sembrano dimostrare la possibile applicazione di queste strategie terapeutiche e molecole anche in altre malattie, neurologiche e no, anticorpo-mediate, quali le patologie autoimmuni scatenate dalle immunoglobuline IgG.
Lo studio dell’Irccs Besta
Grazie a un progetto europeo ricercatori del Besta hanno avviato uno studio che sul concetto di terapia personalizzata, intende identificare biomarker e percorsi terapeutici ottimali per specifiche categorie di pazienti e indagare come e se l’utilizzo dell’IA possa aiutare a predire la risposta ai trattamenti da parte di differenti gruppi di pazienti e, dunque, selezionarli in funzione dei benefici che potrebbero trarre da uno specifico trattamento rispetto ad un altro.
«Il progetto», conclude Mantegazza, «è iniziato da circa 6 mesi e sta dando già i primi risultati. Un obiettivo che è stato possibile grazie alla condivisone di competenze e diversi know-how».