La malattia di Pompe a esordio infantile è una condizione genetica rara, causata dal deficit dell’enzima alfa-glucosidasi acida che provoca un accumulo di glicogeno all’interno delle cellule, danneggiando soprattutto i muscoli di cuore, gambe, braccia, apparato respiratorio.
La patologia inizia durante la gestazione e, anche somministrando ai neonati il trattamento enzimatico sostitutivo a base di alglucosidasi alfa subito dopo il parto, il danno non è completamente reversibile. Ciò avviene, almeno in parte, perché i pazienti sviluppano anticorpi contro l’enzima stesso.
Un team di ricercatori dell’Ottawa Hospital, del Children’s Hospital of Eastern Ontario, dell’Università della California, della Duke University e dell’Università di Washington ha condotto in laboratorio alcune sperimentazioni sui topi affetti dalla malattia, somministrando loro la terapia già nel corso della gestazione.
Sulla base dei risultati positivi ottenuti, il gruppo è stato autorizzato a svolgere uno studio clinico, di recente pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Il caso
La sperimentazione ha coinvolto una donna di 37 anni gravida, al cui feto è stata diagnosticata, mediante prelievo dei villi coriali nel primo trimestre di gravidanza, la malattia di Pompe di tipo Crim (Cross-reactive immunologic material) – negativo, in cui cioè l’attività enzimatica è del tutto assente. La gestante aveva già avuto due figli affetti dalla patologia morti a pochi mesi di età (a 29 mesi e a 8 mesi), oltre a una gravidanza con feto affetto interrotta elettivamente.
Durante la ricerca, gli studiosi hanno somministrato sotto guida ultrasonica, attraverso la vena ombelicale, l’alglucosidasi alfa a partire da 24 settimane e cinque giorni di gestazione, continuando le somministrazioni a intervalli di due settimane fino a 34 settimane e cinque giorni, per un totale di sei infusioni, in seguito alle quali non si sono manifestate reazioni avverse. Dopo la terza infusione sono stati rilevati anticorpi contro il farmaco, che hanno raggiunto il picco al termine della terapia.
Il travaglio è stato indotto a 37 settimane e tre giorni (tre settimane dopo l’ultima infusione) e il feto è stato partorito per via vaginale.
Dopo la nascita, il neonato è stato subito trattato con l’induzione della tolleranza immunitaria e successivamente, a settimane alterne, ha ricevuto un’infusione di alglucosidasi alfa.
I risultati
Ai controlli, il bimbo non ha evidenziato deficit di movimento, dimostrando sviluppo motorio, tono muscolare e potenza adeguati all’età. A 11,5 mesi di età camminava autonomamente e l’ecocardiogramma è risultato nella norma.
I livelli anticorpali sono diminuiti entro otto settimane dalla nascita. Per precauzione, i medici hanno somministrato rituximab, anticorpo monoclonale con azione immunomodulante, a 11 settimane di età e successivamente, a partire da 27 settimane di età, ogni due mesi.
Dato che gli anticorpi si sono mostrati persistentemente bassi, a 43 settimane gli specialisti hanno ridotto la somministrazione del medicinale a una volta ogni tre mesi.
Questo protocollo per la terapia enzimatica sostitutiva in utero si è dimostrato sicuro sia per la madre, sia per il feto, nonché efficace nel ridurre i depositi di glicogeno placentare.
Il bambino era in buona salute a 13 mesi di età.
Sebbene sia ormai accertato che iniziare il trattamento il prima possibile migliori i risultati nei pazienti con la malattia (per esempio, quando la diagnosi viene stabilita dopo lo screening neonatale), lo studio suggerisce che anticipare la terapia al periodo prenatale può ulteriormente migliorare gli esiti.