Approvato da AIFA il 20 dicembre 2023 polatuzumab, in combinazione con il regime chemioterapico rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (R-CHP), il primo anticorpo farmaco-coniugato per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B non pretrattato. I dati dello studio POLARIX hanno dimostrato che polatuzumab, in associazione a R-CHP, riduce il rischio di progressione della malattia del 27% rispetto alla cura standard.
Nel 2020 le nuove diagnosi di linfoma non-Hodgkin in Italia sono state 13.200. Con oltre 90 sottotipi, quello dei linfomi non-Hodgkin è un gruppo di tumori molto complesso che può presentarsi come aggressivo, cioè a crescita rapida, o indolente, a crescita lenta. Il linfoma diffuso a grandi cellule B è il linfoma aggressivo più comune e rappresenta il 30% delle nuove diagnosi di linfoma non-Hodgkin. Causato dalla proliferazione incontrollata di un tipo di globuli bianchi, i cosiddetti linfociti B, si manifesta principalmente nelle persone anziane e, a causa della sua natura aggressiva, richiede un trattamento tempestivo.
L’anticorpo farmaco-coniugato
Lo scorso 20 dicembre l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha approvato polatuzumab in combinazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (R-CHP) per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B precedentemente non trattato con fattore di indice prognostico (IPI) 3-5. Polatuzumab è dunque oggi disponibile e rimborsato nel nostro Paese.
Polatuzumab in associazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone è la prima terapia approvata da AIFA negli ultimi 20 anni per il trattamento di prima linea del linfoma diffuso a grandi cellule B.
I dati dello studio POLARIX
Lo studio POLARIX ha dimostrato che polatuzumab in combinazione con R-CHP riduce il rischio di progressione della malattia, ricaduta o morte del 27% rispetto allo standard di cura, R-CHOP, con un profilo di sicurezza comparabile. Il Linfoma diffuso a grandi cellule B ogni anno interessa circa 500mila nuove diagnosi, 13.200 solo in Italia.
Sebbene una percentuale considerevole di pazienti risponda positivamente al trattamento iniziale, quasi il 40% non mostra risposta o sperimenta una ricaduta. Polatuzumab in combinazione con R-CHP è la prima terapia dopo circa 20 anni ad aver dimostrato, in uno studio clinico controllato e randomizzato di fase III con 879 pazienti arruolati, un beneficio significativo in termini di malattia libera da progressione (obiettivo primario dello studio) per il trattamento di prima linea del linfoma diffuso a grandi cellule B.
Lo studio ha mostrato altresì che i pazienti trattati con polatuzumab in prima linea, a un follow-up di due anni, ricevono molte meno terapie anti-linfoma successive (sistemiche, radioterapiche, autotrapianto e CAR-T) rispetto ai pazienti trattati con la terapia standard.
Un passo avanti cruciale per i pazienti
“Questa nuova terapia, arrivata dopo decenni di tentativi, aumenta le possibilità di guarigione dei pazienti con la prima linea di trattamento, riducendo quindi la necessità di dover ricorrere a terapie di seconda e di terza linea, spesso molto gravose e impegnative per i pazienti e per la sostenibilità del sistema sanitario”, ha dichiarato il dott. Antonello Pinto, direttore medico dell’Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale Irccs di Napoli.
“L’impatto di questa innovazione si estende dunque al benessere psicologico dei pazienti e dei loro cari. Si tratta quindi di una modalità terapeutica che non solo riduce il rischio di recidiva ma che contribuisce anche a preservare e migliorare la qualità della vita di coloro che affrontano questa difficile sfida. Questo risultato è il frutto della ricerca e dell’impegno incessante nel campo dell’oncologia e ci sprona a continuare nella missione di fornire cure sempre più efficaci e offrire una speranza concreta per il futuro”.
“I linfomi non-Hodgkin sono patologie complesse, che portano con sé un impatto significativo sui pazienti e sulle loro famiglie. La priorità del sistema di cura dovrebbe essere quella di garantire a ciascun individuo la possibilità di affrontare il percorso terapeutico con il massimo supporto clinico, ma anche emotivo, psicologico, nutrizionale e tutti gli interventi che possono preservare e migliorare la qualità complessiva della vita.
Per raggiungere questi obiettivi, unitamente ai benefici apportati dall’innovazione terapeutica, è fondamentale poter contare su un’organizzazione sanitaria efficiente in collaborazione con le associazioni di pazienti di riferimento e le istituzioni. Solo attraverso un dialogo continuo e una cooperazione tra le parti coinvolte, in sinergia con i benefici apportati dall’innovazione terapeutica, possiamo affrontare l’impatto che patologie come i linfomi non-Hodgkin hanno anche in termini di tempi medici e assistenza alle cure”, ha sottolineato Davide Petruzzelli, presidente Lampada di Aladino ETS.