La leucemia linfoblastica acuta è un tumore che si sviluppa nel sangue e nel midollo osseo ed è una patologia rara a progressione rapida e infausta.
La sua distribuzione è bimodale, ossia si verifica più spesso nelle fasce d’età 2-5 anni e dopo i 50 anni.
La strategia terapeutica tradizionale prevede più fasi di chemioterapia: fase d’induzione, fase di consolidamento, fase di mantenimento e profilassi del sistema nervoso centrale.
Circa il 5-10% dei pazienti, tuttavia, non risponde a chemioterapia (leucemia refrattaria) e un ulteriore 30-60% va incontro a ricaduta dopo una iniziale risposta al trattamento.
Interviene, in questo contesto, una nuova soluzione terapeutica che cambia le prospettive per i pazienti non solo in termini di sopravvivenza, ma anche di miglioramento delle condizioni di somministrazione: la formulazione sottocutanea evita lunghe infusioni, necessarie invece nella chemioterapia.
Blinatumomab, sviluppato da Amgen, è il primo di una nuova classe di anticorpi BiTE® e a oggi è il primo in Italia indicato in monoterapia per il trattamento sia di adulti con leucemia linfoblastica acuta sia di pazienti pediatrici in età superiore a 1 anno.
Gli anticorpi a doppio bersaglio sviluppati con tecnologia BiTE® (Bispecific T-cell Engager) sono farmaci che potenziano la capacità del sistema immunitario di contrastare le patologie tumorali.
Gli anticorpi bispecifici BiTE® sono ingegnerizzati per legarsi allo stesso tempo a due bersagli, costruendo un ponte che connette i linfociti T alle cellule tumorali bersaglio. In questo modo le cellule T agiscono a distanza ravvicinata sulle cellule tumorali, riconoscendole, legandosi ad antigeni specifici e rilasciando molecole che ne causano la morte.
Dati incoraggianti sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine: lo studio di fase 3 randomizzato E 1910 “Blinotumomab for MRD-Negative Acute Lymphoblastic Leukemia in Adults” ha infatti dimostrato l’aumento della sopravvivenza dei pazienti adulti con LLA Ph negativa trattati con blinotumomab in prima linea.
In particolare, si è ottenuta una riduzione del 59% del rischio di morte: a circa tre anni e mezzo l’85% dei pazienti è ancora vivo, rispetto al 68% dei pazienti trattati con chemioterapia.
Robin Foà, professore emerito di Ematologia, Università Sapienza di Roma: “questo schema di cura può diventare lo standard. La FDA ha già approvato il trattamento con blinatumomab per pazienti con LLA Ph negativa int rima linea, anche MRD negativi”.
Alessandro Rambaldi, professore ordinario Ematologia, Università Statale di Milano: “blinatumomab potrebbe essere utilizzato prima del manifestarsi della recidiva, così si otterrebbe un miglioramento dei risultati clinici e una riduzione della tossicità da chemioterapia.Fondamentale è, però, applicare a tutti i pazienti le tecniche di valutazione molecolare della MRD, aspetto indispensabile per guidare le scelte terapeutiche”.