Le prospettive della ricerca in Italia

(immagine: Canva)

Oltre la ricerca di nuove molecole e lo sviluppo di terapia. Per fare innovazione servono medicina e approcci di precisione, soluzioni med-tech, condivisione di tecnologie e differenti know-how, una mentalità da startup, pronta ad aprirsi e valutare nuovi percorsi sfruttando tutte le opzioni possibili come piccole molecole, agenti proteici, terapia genica e cellulare, partnership fra ricerca, clinica e mondo dell’industria. Serve l’ascolto dei bisogni del paziente, la partecipazione di tutti gli stakeholder interessati a tavoli tecnici dedicati.

È la ricetta che ha consentito il progresso scientifico e che è fondamenta della medicina del futuro per continuare ad offrire risposte concrete e di efficacia a patologie con unmet need terapeutici, per accettare le sfide delle sanità che porranno di fronte a nuove richieste, funzionali all’invecchiamento della popolazione e alla capacità di cronicizzare patologie anche complesse come i tumori. Se ne è parlato in occasione della “J&J week – Insieme per la medicina del futuro: una lunga tradizione di ricerca, collaborazioni e innovazioni”.

La ricerca clinica

È sempre un punto di partenza, mai di arrivo a livello internazionale, Italia compresa in cui la distribuzione di studi clinici è potenzialmente buona, sufficientemente capillarizzata, guidata da alcuni centri, non solo per numerosità di progetti di ricerca avviati, ma per qualità dello studio clinico, maggiore expertise e strumenti per l’adeguato sviluppo delle open question poste in essere.

È necessario invece favorire la migliore e maggiore disseminazione scientifica in maniera uniforme, omogenea sull’intero territorio e fra tutti gli stakeholder: amministrativi, in termine di gare da applicare ad esempio, pazienti che degli studi in atto potrebbero beneficiare, popolazione generale che per un effetto rebound possono contribuire alla disseminazione dell’informazione, caregiver che si prendono in carico il paziente, specie anziano, presso cui l’informazione è dunque fondamentale.

Anche in ambito oncologico la ricerca clinica italiana ha i suoi punti di forza, collocandosi in una situazione discreta all’interno del panorama europeo, comunque migliorabili.

«Il report di LUCE del 2018», dichiara Silvia Novello, professore ordinario di oncologia medica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, responsabile della Divisione di Oncologia Medica all’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano, presidente di WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe) – indicava l’Italia fra i Paesi europei con il maggior numero di trial attivi per le targeted therapies, così come per l’immunoterapia, insieme a nazioni come Francia, Regno Unito, Spagna e Germania.

Ci sono sicuramente alcune barriere, tra cui pochi fondi, a cui spesso si può accedere con procedure complesse e timeline non ottimali; percorsi formativi articolati e non competitivi rispetto a offerte lavorative alternative; normative non facilitanti».

La necessità di aggiornare e modernizzare i quadri normativi, che non riguardano in realtà solo l’ambito dei trial clinici decentralizzati, ma in generale la ricerca clinica italiana, è un primo esempio.

«In questo contesto la collaborazione fra centri di ricerca e imprese può rappresentare uno strumento per un miglioramento dello scenario della ricerca in Italia, tramite per esempio il supporto economico, la condivisione di professionisti e di competenze, disegni di progettualità comuni che impediscano ridondanze tra gli studi e ottimizzino tempi e risorse».

Con questo obiettivo in occasione della J&J week, l’azienda ha firmato una partnership scientifica, un protocollo d’intesa, con l’Istituto clinico Humanitas, specificatamente nella persona di Maurizio Cecconi, direttore della Scuola di Specializzazione di Anestesia e vicepresidente MEDTEC School, Humanitas University; vicedirettore scientifico per la Ricerca Clinica e capo del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva dell’Istituto e Alessandra Baldini, direttrice medica Johnson & Johnson Innovative Medicine Italia, che permetterà d’implementare e integrare le competenze di Humanitas all’innovazione, velocizzata dal supporto dell’azienda, con ricadute importanti sulla didattica e sulla ricerca, pilastri dell’ospedale e dell’Università Humanitas.

Il contributo del paziente

Da sempre cruciale il supporto del paziente, la sua voce all’interno di studi clinici, fin dalla definizione del disegno iniziale, alla partecipazione a tavoli decisionali, parlamentari, per la strutturazione di percorsi di PDTA, per esempio, sarà sempre più determinante. Ciò permetterà di sviluppare e rendere disponibili al mercato terapie appropriate, adatte a rispondere a bisogni “misurati” sulle richieste dei pazienti stessi.

«Il nostro coinvolgimento in tutte le fasi di sviluppo dei farmaci è una risorsa fondamentale per la ricerca clinica», dichiara Paola Kruger, paziente esperto Accademia del paziente esperto EUPATI. «Solo chi vive con una certa malattia può sapere cosa significhi affrontare la quotidianità con determinati sintomi e assumendo le terapie. Ascoltare l’esperienza e i bisogni dei pazienti contribuisce alla scoperta, allo sviluppo e alla valutazione di nuovi farmaci davvero efficaci, permette alla comunità scientifica di conoscere esigenze, priorità di real world e di comprendere come poter migliorare la qualità di vita della persona, andando oltre l’efficacia del farmaco stesso, anzi potenziando la stessa».

Opinione condivisa e supportata anche da chi le terapie appunto le progetta, oggi con molte e più facilities: le nuove tecnologie.

«Grazie alla trasformazione digitale nella ricerca clinica è possibile venir incontro e favorire i pazienti nelle sperimentazioni», conclude Lorenzo Cottini, consigliere e coordinatore del gruppo di lavoro ricerche cliniche AFI e country director Evidenze. «Per esempio, ci sono gli studi clinici decentralizzati che permettono di spostare le attività della ricerca verso il loro domicilio o in strutture più prossime, con una conseguente riduzione di tempi e costi, oltre che un miglioramento della qualità di vita e dell’esperienza del paziente».

Benché esistano ancora molti ostacoli da superare, in primis normativi, come anticipato. In ambito europeo esistono, tuttavia, modelli virtuosi, implementati da alcuni da Paesi come la Spagna che hanno puntato sulla ricerca, mettendo in atto importanti trasformazioni: una semplificazione normativa e un cambio di passo culturale: una fonte d’ispirazione ed emulazione per migliorare e favorire la ricerca anche in Italia.