Inibitori di PARP, ultima frontiera terapeutica nel carcinoma della prostata

Vengono definiti superfarmaci e sono principi attivi in grado di intervenire sulla proteina PARP, che aggiusta i difetti genetici della cellula, ostacolando la crescita e la sopravvivenza del cancro. È questa una delle ultime frontiere nel trattamento del tumore della prostata, presentata al 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia.

Il tumore della prostata resta la più comune patologia oncologica nella popolazione maschile over 65, con circa 80 mila decessi l’anno in Europa e 44.000 nuove diagnosi in Italia, con probabilità che 1 su 15 sviluppi la patologia dopo i 40 anni.

Capire e identificare la mutazione di un determinato gene permette di rendere la malattia un bersaglio sensibile a nuovi farmaci, gli inibitori di PARP. PARP è la proteina senza la quale le cellule tumorali non sono in grado di funzionare e dunque di sopravvivere.

«Il test genetico nei pazienti con tumori, avanzati o localizzati», spiega Francesco Porpiglia, Ordinario di Urologia dell’Università degli Studi di Torino e responsabile dell’ufficio scientifico SIU, «rappresenta una nuova frontiera nella strategia terapeutica dei pazienti.

Le alterazioni genetiche si possono dividere in ‘somatiche’, le più frequenti e presenti solo nelle cellule tumorali e in mutazioni germline, presenti sia nelle cellule sane che in quelle tumorali, che si riscontrano in alcuni tumori con una predisposizione genetica familiare quali mammella e ovaio.

Il tumore della prostata si caratterizza nella gran parte dei casi dalle sole mutazioni somatiche, senza rischio di ereditarietà., mentre le germline possono caratterizzate pazienti affetti da tumore presente nella stessa famiglia, a volte a insorgenza più precoce rispetto alla popolazione generale. Queste alterazioni possono diventare dunque un importante bersaglio terapeutico».

Le alterazioni BRCA e i PARP. Il tumore della prostata, soprattutto in fase metastatica, si associa in molti casi a mutazioni BRCA2: «È fondamentale identificare le mutazioni di questo gene – precisa Giuseppe Carrieri, direttore del dipartimento di urologia, Università di Foggia – soprattutto nelle forme avanzate della malattia, quando il tumore diventa un bersaglio sensibile a nuovi farmaci chiamati inibitori di PARP. PARP, insieme con il gene BRCA2, ha il compito di riparare i danni del DNA, permettendo il corretto funzionamento della cellula. I tumori in cui questo gene non funziona a dovere accumulano più alterazioni, diventando più aggressivi e in grado di sopravvivere più a lungo, Se invece si ricorre ai farmaci che impediscono alla proteina PARP di svolgere il proprio ruolo riparatore, le cellule tumorali già con un’alterazione del gene BRCA2, non sono più capaci di funzionare correttamente, dunque muoiono». Inoltre, gli inibitori di PARP si sono dimostrati efficaci sia nei pazienti con mutazioni ‘somatiche’ che in quelli con alterazioni ‘germline’, anche dopo il fallimento dei trattamenti convenzionali. La Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha di recente approvato il primo farmaco inibitore di PARP (Olaparib), mentre sono in fase di sperimentazione altri principi attivi di questa stessa classe (Rucaparib, Talazoparib e Niraparib).

I risultati sugli inibitori di PARP.
«Gli studi di fase II che li hanno testati», aggiunge Luca Carmignani, direttore del dipartimento di urologia all’Irccs San Donato, Università di Milano, «dimostrano che un paziente su due con alterazioni di BRCA1/2 risponde al trattamento. Circa il 7-15% di tutti i pazienti con carcinoma prostatico presenta alterazioni germline/somatiche in BRCA1/2, mentre alterazioni simili sono presenti fino al 27-30% dei pazienti. Si può pertanto ipotizzare che questi nuovi farmaci possano rappresentare nell’immediato futuro un indubbio potenziale clinico nel trattamento del tumore della prostata».

I benefici degli inibitori di PARP sono stati dimostrati anche da PROfound, studio di fase III che ha reclutato 387 pazienti con queste alterazioni geniche i quali sottoposti a terapia con Olaparib restavano liberi da progressione di malattia per un tempo doppio rispetto a coloro in trattamento standard.

La ricerca delle mutazioni ‘germline’ di BRCA2 e 1. Ad oggi è riservata a pazienti con forte familiarità per tumori della mammella, ovaio e prostata. Tuttavia, i test per l’identificazione di mutazioni “somatiche” non rientrano ancora nel normale percorso diagnostico dei pazienti con tumore della prostata avanzato che falliscono trattamenti standard.

’auspicio è che si possa giungere a una sempre maggiore diffusione dei test genici anche in pazienti che non hanno familiarità, ma con malattia avanzata che sfugge al controllo dei farmaci tradizionali, di cui la metà mutazioni geniche come BRACA1/2 potrebbe trarre beneficio proprio da una terapia con inibitori di PARP o simili.

Francesca Morelli