Non è solo l’Italia a vivere una stagione di difficoltà in termini di personale medico e infermieristico. Mentre Regione Lombardia sta pensando di affidare la medicina generale a infermieri appositamente formati, in attesa di avere medici da assegnare, in Spagna si sperimenta la sostituzione da parte del farmacista ospedaliero dei medici specialisti in infettivologia.
O, meglio, si testa l’efficacia di programmi di gestione degli antibiotici condotti da farmacisti ospedalieri all’interno di ospedali piccoli, dove i medici delle malattie infettive non sono previsti. Un uso attento e adeguato di antibiotici è quantomai essenziale, in primis per rallentare il processo di sviluppo, da parte di tanti ceppi batterici, di resistenza o multi-resistenza.
Ma non solo. Le evidenze sono sempre più chiare: un uso indiscriminato di questo gruppo di farmaci, che pur sono da considerare salva-vita in molte situazioni, induce un impoverimento del microbioma intestinale, con conseguente indebolimento del paziente. Science Reports pubblica uno studio condotto dall’Università di Granada e dal suo Ospedale Universitario Virgen de las Nieves che vuole verificare, appunto, se un programma di gestione antibiotica condotto da farmacisti ospedalieri possa migliorare la prescrizione degli antibiotici stessi in un piccolo ospedale. 696 i pazienti coinvolti nello studio, dei quali il 12.6% allergico agli antibiotici.
Le cause principali per la prescrizione antibiotica sono state infezione acquisita in comunità (78,3%), per quanto riguarda la localizzazione, le tre tipologie più frequenti sono state infezioni del tratto respiratorio (29,8%), infezioni del tratto urinario (25,7%) e infezioni del tratto biliare e addominale (17,2%).
Nel 71,8% dei casi la terapia è stata prescritta in modo empirico e nel 36% si è trattato di una politerapia. In farmacisti hanno proposto cambiamenti alla terapia in 847 casi, nel 5,4% interagendo direttamente con il medico prescrittore. Ciò significa che praticamente tutte le somministrazioni sono state valutate almeno una volta. Il farmacista ospedaliero è intervento in particolare in caso di somministrazione antibiotica intravenosa, e per prescrizione di cefalosporine, penicilline, quinoloni e carbapenemi. La modifica suggerita per la maggiore ha interessato la levofloxacina (16,3%) e ceftriaxone (14,3%).
Inoltre, nel 32,8% dei casi le terapie antibiotiche suggerite alle dimissioni erano inappropriate. L’intervento più effettuato è stato la riduzione dei periodi di terapia, sulla scorta dell’evidenza che terapie più corte sono efficaci come quelle più lunghe, con la differenza che riducono la possibilità che i batteri coinvolti sviluppino resistenza agli antibiotici, appunto.
Nell’insieme, assicurano gli autori, l’implementazione di questi programmi gestiti dai farmacisti ospedalieri ha permesso di ridurre l’uso di tutte le classi di antibiotici in ospedale, compresi i carpabenemi, considerati antibiotici last resort. Non solo. L’implementazione ha permesso anche di ridurre del 26,8% la spesa per l’acquisto di antibiotici, con un risparmio di circa 165.000 euro.
Interessante osservare, inoltre, un buon tasso di accettazione, da parte dei clinici coinvolti, dei suggerimenti offerti dai farmacisti ospedalieri. Le difficoltà maggiori si sono evidenziate davanti alla richiesta di convertire una terapia endovenosa in terapia orale. Essendo uno studio mono-centrico le limitazioni sono davvero molte: in primis, è difficile fare delle generalizzazioni. Sarebbe necessario allargare l’implementazione ad altri piccoli ospedali, per poi verificarne l’efficacia. Esistono tuttavia altri studi, in letteratura, che confermano la bontà di questo genere di interventi.
(Lo studio: Cantudo-Cuenca MR, Jiménez-Morales A, Martínez-de la Plata JE. Pharmacist-led antimicrobial stewardship programme in a small hospital without infectious diseases physicians. Sci Rep. 2022 Jun 9;12(1):9501. doi: 10.1038/s41598-022-13246-6. PMID: 35680946; PMCID: PMC9184508)
Stefania Somaré