Farmacia clinica, una definizione chiara dalla European Society of Clinical Pharmacy

Nel tempo il ruolo del farmacista clinico e ospedaliero è cambiato molto, passando da semplice preparatore e dispensatore di farmaci a figura sanitaria con competenze sempre più di carattere gestionale ed educativo, con compiti che escono dai confini ospedalieri per raggiungere il territorio.

Nasce quindi l’esigenza di una definizione chiara di farmacista clinico, soddisfatta soddisfatta dalla European Society of Clinical Pharmacy che ha pubblicato un position paper per colmare le ambiguità ancora esistenti in merito.

L’idea è chiarire una volta per tutte chi è il farmacista clinico, dove opera e di cosa si occupa. Il percorso è iniziato nel 2014, è partito con una prima bozza che è poi stata condivisa, nel 2018, con i membri registrati alla società, in tutto 263. Di questi, 89 hanno risposto alle domande poste, valutate per migliorare la prima versione draft. Ulteriori passaggi di verifica e revisione hanno portato al documento definitivo, dove viene per esempio sottolineato che si dovrebbe utilizzare il termine “farmacia clinica” per servizi offerti dentro o fuori gli ospedali solo se a svolgerli è un farmacista.

Qualora questi servizi, come per esempio l’ottimizzazione di un percorso farmacologico, vengano offerti da infermieri, anche se opportunamente formati, o da altre figure sanitarie, si dovrebbe evitare di utilizzare questa definizione. Lo stesso anche nel caso che il servizio venga svolto con il supporto di un’app o un altro strumento gestionale. Il documento derime inoltre un dubbio relativo all’ambito in cui questa disciplina si dovrebbe muovere: ricerca o pratica?

La società scientifica sostiene che entrambi gli ambiti sono appannaggio del farmacista clinico che può trovare tanto occupazione nella ricerca di nuovi farmaci o nello studio di comportamenti sanitari e altro ancora, quanto nel lavoro sul campo per esempio per il monitoraggio dell’aderenza terapeutica di una popolazione di pazienti o per supportare nel corretto uso delle terapie e dei dispositivi farmacologici.

Dal punto di vista filosofico, invece, gli autori rimarcano il ruolo proattivo che i farmacisti clinici dovrebbero avere all’interno dei propri ambiti lavorativi, per esempio per individuare problemi associati alle terapie e per fornire indicazioni per risolverli. Questo aspetto proattivo è spesso non accettato dai farmacisti clinici.

Gli autori ne spiegano le ragioni: spesso ci sono restrizioni legislative o nell’ambiente lavorativo che caricano il farmacista clinico di responsabilità non proprie. In altri casi, è possibile che i nuovi compiti non siano adeguatamente retribuiti.
Insomma, le ragioni possono essere molteplici ma, sottolinea la società scientifica, da un punto di vista etico/morale il farmacista clinico è tenuto a intervenire.

Infine, viene introdotto il concetto che la pratica della farmacia clinica non si limita ad attività dirette al singolo paziente, ma si estende anche in azioni che vanno oltre, portando questi professionisti a impegnarsi anche nella gestione della antibiotico-resistenza, nello sviluppo di formulari e linee guida, nella prescrizione elettronica sicura e nel disegno di processi di gestione dei farmaci.

(Lo studio: Dreischulte, T., van den Bemt, B., Steurbaut, S. et al. European Society of Clinical Pharmacy definition of the term clinical pharmacy and its relationship to pharmaceutical care: a position paper. Int J Clin Pharm (2022). https://doi.org/10.1007/s11096-022-01422-7)