Farmaci innovativi, Sifact chiede di distribuzione diretta

(foto di Arek Socha da Pixabay)

Oltre vent’anni fa, con la legge n. 405 del 2001, si stabilirono, tra l’altro, regole per la distribuzione del farmaco che consentissero una riduzione della spesa sanitaria globale, ritenuta troppo alta.

In quella sede si parlò di distribuzione diretta, svolta dalla farmacia ospedaliera, e di distribuzione per conto, effettuata dalle farmacie territoriali convenzionate, previo la stipula di un apposito accordo.
Al momento esistono farmaci che possono essere erogati solo dalla farmacia ospedaliera (classificati come H) e altri che sono appannaggio delle farmacie territoriali (classificati come A).

Tra i primi vi sono i farmaci usati in ospedale, mentre tra i secondi vi sono quelli per la cura di cronicità o piccoli eventi acuti.
Nel mezzo ci sono i farmaci per la continuità assistenziale, prescritti in ospedale e da assumere anche a domicilio: classificati A-PHT, questi vengono distribuiti secondo il Prontuario della Distribuzione Diretta.

Il punto è che, dal 2001 a oggi, sono stati introdotti farmaci innovativi che richiedono particolari competenze e formazione per l’erogazione.
A suo tempo la distribuzione diretta venne introdotta come strumento per favorire un risparmio economico, per esempio attraverso la stimolazione della concorrenza nel mercato e il raggiungimento di maggiori sconti in sede di acquisto.

Da qualche mese questo meccanismo è oggetto di una riflessione, agita attraverso una “Indagine conoscitiva in materia di distribuzione diretta dei farmaci per il tramite delle strutture sanitarie pubbliche e di distribuzione per conto per il tramite delle farmacie convenzionate con il SSN in attuazione dell’art. 8 del DL n. 347 del 2001 (L. n. 405 del 2001)”, condotta dalla XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati.

Ci si chiede se il sistema della distribuzione diretta sia ancora attuale o se, piuttosto, non metta in difficoltà i pazienti che devono recarsi in ospedale per ritirare il farmaco.
La rete delle farmacie territoriali, diffusa sul territorio, potrebbe essere, per alcuni, una scelta migliore, ma le associazioni di categoria ritengono che si debbano trovare soluzioni per andare incontro ai pazienti, come per esempio l’home delivery.
È importante che la valutazione tenga conto del valore aggiunto che il farmacista ospedaliero può apportare all’erogazione dei farmaci più innovativi e complessi.

Francesca Venturini, presidente SIFaCT – Società Italiana di Farmacia Clinica e Terapia, ha sottolineato che i quesiti alla base dell’indagine, di carattere organizzativo-gestionale, non hanno riscontri nella vita reale se non in qualche situazione di particolare inefficienza.
Venturini ha ricordato che i nuovi farmaci biotecnologici richiedono spesso uno stretto monitoraggio multidisciplinare per capire se il paziente ha le caratteristiche corrette per la prescrizione del prodotto e, in caso affermativo, per istruirlo all’assunzione e anche per verificarne gli esiti nel tempo.

Il monitoraggio è richiesto dai Registri AIFA, che vuole assicurare l’appropriatezza d’uso, e per avere accesso ai Managed Entry Agreement per il rimborso economico.
A ciò si aggiungono l’esigenza di condurre una continua riconciliazione terapeutica, soprattutto per i pazienti anziani e in politerapia, come previsto dalla Raccomandazione 17 del Ministero della Salute, e la complessità dei pazienti con malattie rare.

Grazie alla sua specializzazione di 4 anni e alle esperienze maturate negli ultimi 20 anni, il farmacista ospedaliero si configura come la figura ideale per distribuire questi farmaci, lavorando anche a favore dell’aderenza terapeutica, fondamentale per ottenere risultati e rendere il farmaco uno strumento di cura reale.
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Stefania Somaré