I soggetti affetti da epatite B (Hbv) corrono il rischio di essere infettati anche dal virus dell’epatite D (Hdv), instaurando così un’infezione cronica sinergica che è riconosciuta per avere una progressione verso cirrosi ed epatocarcinoma molto più rapida rispetto alla sola epatite B.
Nel caso in cui il virus Hbv non infetti il soggetto in contemporanea al Hbv, ma successivamente, può generare una nuova forma acuta di patologia, spesso fatale. I numeri parlano chiaro: si stima che il 20-25% delle morti fulminanti da epatite non siano da attribuire alla variante B, ma al caso sopra descritto.
Anche la forma combinata di epatite Hbv e Hdv può cronicizzare: in Italia questa condizione ha una prevalenza del 5-9%, mentre nel mondo si conta che siano circa 10 milioni i pazienti con doppia infezione, numero probabilmente sottostimato.
Sono questi i soggetti con infezione combinata da Hbv e Hdv cronica a essere interessati da un recente provvedimento dell’AIFA che riconosce la rimborsabilità di bulevirtide in dose da 2 mg, da iniettare per via sottocutanea. Al farmaco è stata inoltre riconosciuta l’attribuzione del requisito “innovatività terapeutica condizionata”.
Un nuovo step importante, che segue all’approvazione condizionata da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) avvenuta nel luglio 2020. Nello stesso anno, inoltre, il farmaco ha ottenuto anche la designazione di “farmaco orfano”. Si tratta di un farmaco “inibitore all’ingresso” che va a bloccare il recettore NTCP, impedendo l’ingresso del Hdv nelle cellule epatiche e, da qui, la trasmissione ad altre.
È anche, importante sottolinearlo, il primo farmaco specifico per questa grave forma di epatite che porta con sé anche un elevato rischio di scompenso epatico. Pietro Lampertico, professore ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Milano e direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Milano, sottolinea: «con bulevirtide stiamo assistendo a una rivoluzione del trattamento di questa malattia che è la forma più grave di epatopatia cronica virale.
Lo studio registrativo di fase III ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza di questo farmaco che, somministrato in monoterapia per 48 settimane, ha ottenuto il 70% di risposta virologica, il 50% di risposta biochimica, e il 45% di risposta combinata. Con questo farmaco, possiamo finalmente rispondere alle priorità cliniche di soppressione della viremia e di normalizzazione delle transaminasi, condizioni che potrebbero far rallentare la progressione della malattia verso la cirrosi, lo scompenso epatico e l’epatocarcinoma».
Prima dell’introduzione di bulevirtide i pazienti con doppia infezione venivano trattati con l’interferone PEG-IFNα, off-label, con esiti però inferiori e un’efficacia ottenuta nel 17-47% dei casi. Non solo. Il trattamento con questo interferone si associa anche a un’alta probabilità di recidive.