Il Covid-19 ha avuto effetti dannosi sulla prevenzione delle malattie infettive, una fra tutte l’HCV, e quindi anche sull’impiego di test per la diagnosi precoce dell’infezione.
Oggi davanti a una malattia come l’epatite C, l’imperativo è fare test al di fuori dagli ospedali per identificare quei pazienti con epatite C non ancora raggiunti dai servizi sanitari.
L’imperativo è raggiungendo le strutture sul territorio, come i SerD e i Centri di malattie sessualmente trasmesse, perché l’obiettivo è eradicare il virus.
Le malattie croniche del fegato rappresentano un’emergenza epidemiologica e clinica sia a livello mondiale che nazionale.
I dati del Global Burden of Diseases indicano che nel 2016, nel mondo, sono decedute 1.256.850 persone per cirrosi epatica e stima per il 2040 un incremento del numero di decessi per cirrosi epatica del 50%.
Le stime riferite all’Italia sulle persone colpite da cirrosi epatica ci descrivono circa 180 mila casi con un tasso di prevalenza dello 0,3% nella popolazione totale.
L’epatite acuta C causa di gran parte delle malattie croniche del fegato cronicizza in circa 70-80% degli adulti e una minoranza di questi (20-30%) progredirà in cirrosi dopo parecchi decenni.
L’OMS per questo ha definito la strategia per l’eradicazione dell’epatite virale (obiettivo riduzione 90% nuove infezioni e 65% decessi causati da epatite virale entro il 2030). Al 2017, solo 9 Paesi a livello globale, fra cui l’Italia, sono in linea con il raggiungimento degli obiettivi OMS.
Di questo di è parlato nell’evento Motore Sanità “Il percorso a ostacoli del malato di fegato. HCV: dalla diagnosi alla rivoluzione della cura, all’emersione del sommerso”.
Fondamentale è un confronto che si focalizzi su strategie nazionali/regionali che, sfruttando le risorse del PNRR, consentano la revisione organizzativa necessaria per l’emersione del sommerso attraverso la creazione di percorsi facilitati per l’individuazione, la presa in carico e l’immediato trattamento di questi pazienti.
«Viste le efficaci terapie e visto che lo stesso schema nel seguire il paziente in trattamento è stato molto semplificato nel corso degli ultimi anni proprio grazie alla semplicità e alla maneggevolezza dei farmaci che stiamo utilizzando, eradicare la malattia è l’imperativo», ha spiegato Sergio Lo Caputo, professore di Malattie Infettive presso l’Università di Foggia.
«Oggi è fondamentale estendere una rete che sia in grado, al di fuori dell’ospedale, di raggiungere il sommerso, penso ai SerD e ai centri di malattie sessualmente trasmesse. Quello che noi dobbiamo fare è testare ma anche mettere in campo un sistema che permetta dal test rapido di agganciare il paziente e rapidamente portarlo a un trattamento, che abbiamo già visto essere rapido ed efficace, ed è proprio su questo passaggio su cui dobbiamo lavorare. E dove dobbiamo concentrare i nostri sforzi? In quei soggetti che sono spesso restii al trattamento. Molto importanti sono inoltre le attività di screening durante i ricoveri ospedalieri».
Secondo il prof. Caputo, il concetto del test rapido è fondamentale in questo scenario. «Perché permette di uscire dall’ospedale e di andare a trovare la persona con epatite cronica. Un altro aspetto importante è valutare se c’è l’HCV Rna perché in questo modo è possibile trattare rapidamente il paziente. Tutto questo porta ad un percorso che va dalla diagnosi al trattamento che può essere risolto in pochi giorni».