Epatite C, in Friuli corsi di formazione e protocolli di cura specializzati

Intercettare pazienti tossicodipendenti, potenziali portatori di epatite C, da sottoporre a trattamento con farmaci innovativi, introdotti nella pratica clinica dal 2001 e in grado di curare l’infezione con tassi di guaribilità vicini al 100%. Con questo obiettivo presso i Serd (Servizi per le dipendenze) e ospedali della Regione Friuli-Venezia Giulia sono patiti corsi di formazione dedicati ai professionisti e protocolli/percorsi di cura per i pazienti.
Al centro la tossicodipendenza e il rischio epatite C.

La Regione ha promosso sul tema un corso di formazione diretto ai professionisti, nell’ambito del progetto Hand (Hepatitis in addiction network delivery) per la migliore gestione e monitoraggio di questa popolazione di pazienti a maggior rischio per epatite C.
Organizzato dal provider Letscom con il contributo della multinazionale della biofarmaceutica Abbvie ha visto la partecipazione di una cinquantina di esperti dell’Asugi (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina).

L’iniziativa

Nasce da un effettivo background: ogni anno si registrano all’incirca 500mila nuove infezioni da epatite C in Europa, mezzo milione solo in Italia. Nonostante i numeri importanti, la maggioranza di pazienti non sembra consapevole di essere portatore della malattia, con quanto ciò implica: ritardo alla diagnosi nel 90% dei casi e dunque di un trattamento mirato, con ripercussioni sul rischio di diffusione. Da cui la necessità di formare adeguatamente i professionisti e intercettare i potenziali pazienti, specie fra le categorie a maggior rischio.

«La presenza dell’infettivologo nei centri per tossicodipendenti è il punto di forza di questo percorso integrato ospedale-territorio – spiega Roberto Luzzati, direttore della Struttura complessa di Malattie infettive dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina – creando una sinergia importante in pazienti che fanno uso di sostanze e che difficilmente si spostano da una sede all’altra».

Una alleanza, quella tra Serd e ospedale, che favorisce l’intercettazione di questa categoria di pazienti ad altro rischio di contrazione. «Il virus dell’epatite C (Hcv) – aggiunge Saveria Lory Crocè, direttrice della Struttura complessa Clinica patologie del fegato dell’Asugi – colpisce in larga misura soggetti che si iniettano sostanze stupefacenti o che entrano in contatto con sangue infetto.

I Serd sono una realtà in cui è possibile attivare lo screening per malattie specifiche, compreso quelle infettive. Forte delle Linee di indirizzo per il trattamento dell’epatite C, la rete patologica regionale si avvale di diverse professionalità, di cui alcune nuove figure implementate dal 2014 e che dovranno essere ulteriormente potenziate». Le Linee di indirizzo regionali definiscono anche le sedi di somministrazione del farmaco, nelle tre aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia e i Serd di riferimento.

Lo screening per l’epatite C

Dal 2020 lo Stato ha investito 71 milioni di euro ad appannaggio di Regioni a statuto speciale, come il Friuli-Venezia Giulia, che non possono usufruire di fondi dedicati, da destinare a un fondo nazionale per l’istituzione di uno screening gratuito, nello specifico per l’epatite C. Da parte sua la regione, ovvero la Direzione centrale salute alloca e destina fondi in contesti specifici come i Serd.

«I servizi per le dipendenze della Regione – dichiara Roberta Balestra, direttrice del Dipartimento dipendenze dell’Asugi – sono sinergiche nel cercare di contrastare l’epatite C a partire dallo screening e dalla presa in carico del paziente che avvengono strutturalmente all’interno dei Serd, e successivamente in maniera interdisciplinare con gli specialisti ospedalieri. Il nostro obiettivo è il miglioramento del servizio a livello regionale, ovvero rendendo più omogeneo il percorso in tutte le aziende».

Il programma

Il percorso che nel prepandemia ha trattato annualmente oltre 100 pazienti con Hcv tossicodipendenti, scesi a circa 40 in pandemia, è ora nuovamente in ripresa. Prevede l’esecuzione dei primi test rapidi nel Serd, sul modello costruito nella lotta all’Hiv, e in caso di positività i pazienti verranno sottoposti a ulteriori esami e terapia in ospedale, e a un follow-up con il personale del Serd che monitora l’aderenza alle cure, grazie al ruolo indispensabile dell’infermiere.

Francesca Morelli