Sono tante le patologie trascurate durante la pandemia e ora rischiano di presentare il conto. Il diabete è una di queste.
L’ultima edizione degli Annali, l’indagine realizzata periodicamente dall’Associazione Medici Diabetologi, presentata in occasione del 23° congresso nazionale della società scientifica, ha dipinto uno scenario poco rassicurante.
Lo studio ha raccolto i dati provenienti da 282 centri di diabetologia e ha mostrato che nel 2020 le prescrizioni dei farmaci sono diminuite in media del 33% rispetto al 2019, passando da oltre 850 mila a circa 570 mila, con un crollo che ha sfiorato il -70% nella fase più critica dell’emergenza, tra marzo e giugno dello scorso anno.
In diminuzione (-60%) anche le prime visite, con 40 mila pazienti visitati nel 2020 e 18mila nel 2019, e le visite di controllo (-80%). Una flessione è stata registrata pure per quanto riguarda le nuove diagnosi, diminuite del 25% nel 2020 rispetto al 2019.
Minore accesso ai farmaci innovativi
«Di particolare rilevanza è il dato relativo alla riduzione delle prime visite, perché suggerisce che a oggi numerosi pazienti non abbiano ancora avuto accesso ai farmaci più nuovi, ovvero gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 e il glucagon-like peptide 1, efficaci nel ridurre i rischi cardiovascolare e renale», commenta Valeria Manicardi, diabetologa e coordinatrice del gruppo Annali.
«Inoltre, la diminuzione delle nuove diagnosi fa temere un aumento delle diagnosi tardive, con un potenziale incremento delle principali complicanze correlate alla malattia».
A introdurre il problema dell’inerzia clinica è Paolo Di Bartolo, direttore della rete clinica di diabetologia dell’Ausl della Romagna e presidente dell’associazione.
«Nonostante il diabete sia una patologia progressiva, spesso le terapie non vengono adeguate alle modificate condizioni del paziente», spiega. «Il timore degli effetti collaterali e della complessità delle cure, le limitazioni strutturali del sistema sanitario, lo scarso tempo a disposizione per i colloqui con l’assistito sono alcuni dei fattori responsabili di questa inerzia clinica, che comporta un peggioramento nel controllo della malattia.
E la pandemia, con la conseguente riduzione delle attività ambulatoriali, sia per la carenza di personale sanitario, sia per evitare il sovraffollamento delle sale di attesa, ha amplificato l’indolenza nell’adattare le cure».
Il ruolo della telemedicina
Forse un maggiore impiego della telemedicina avrebbe potuto favorire le visite. Almeno questo è ciò che pensa Di Bartolo.
«Durante l’emergenza, assieme alla Società italiana di diabetologia e alla Società italiana di endocrinologia e con la supervisione dell’Istituto superiore di sanità, abbiamo avanzato alcune proposte sul tema», rende noto.
«In particolare, dopo aver analizzato le varie iniziative avviate nel nostro Paese, abbiamo selezionato le best practice e proposto un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) di semplice implementazione per l’assistenza diabetologica da remoto. La pandemia ha permesso di evidenziare le potenzialità della telemedicina come attività complementare a quella in presenza, ma per il futuro è necessario strutturare sistemi più adeguati a garantire, oltre alle prescrizioni e al controllo metabolico, anche il monitoraggio delle complicanze e dei fattori di rischio cardiovascolare».
Paola Arosio