La consulenza del farmacista ospedaliero è preziosa per evitare ricoveri ripetuti, che minano la qualità di vita del paziente e richiedono un rilevante esborso da parte del servizio sanitario. A confermarlo è uno studio prospettico controllato, durato 11 mesi, pubblicato nel settembre 2021 sul Journal of Pharmacy Technology e condotto dagli esperti del Dipartimento di Farmacia dell’Ospedale Universitario di Madrid, in Spagna.
I ricercatori hanno, anzitutto, analizzato i pazienti in dimissione secondo il sistema Hospital, uno strumento di valutazione del rischio di riammissione basato su sette variabili, ovvero livelli di emoglobina, livelli di sodio, reparto (oncologico o non oncologico) in cui è avvenuto il ricovero, procedure eseguite, tipo di ammissione (per esempio, urgente), numero di ricoveri nell’anno precedente, durata della degenza.
Sono stati così selezionati 163 pazienti cronici in multiterapia (più di cinque farmaci) ad alto rischio di riammissione potenzialmente evitabile.
Con quest’ultima espressione si indica, in particolare, una riammissione avente tre caratteristiche: non prevista alla dimissione dal ricovero precedente, causata da almeno un’affezione già conosciuta al momento di tale dimissione, verificatasi entro 30 giorni. Insomma, un evento inaspettato e, ovviamente, indesiderato.
«Questo tipo di riammissioni si differenzia dalle riammissioni cosiddette previste, come quelle correlate a trapianti, parti, chemioterapia, radioterapia, interventi chirurgici che seguono una degenza per visite mediche, e dalle riammissioni considerate inevitabili, come quelle causate da una nuova affezione non presente al momento della precedente degenza», rende noto la farmacista Maria Luisa Ibarra Mira, una delle autrici dello studio.
Più farmaci, più rischio di riammissione
Negli assistiti identificati il farmacista ha condotto un intervento di assistenza farmaceutica al momento della dimissione. Sono stati poi calcolati il tasso di riammissione a 30 giorni, il numero di farmaci e l’indice di complessità del regime farmacologico, confrontandoli con quelli di una coorte retrospettiva di pazienti cronici ad alto rischio di riammissione.
Ebbene, il tasso di riammissione a 30 giorni è stato del 18,4% nel gruppo sottoposto all’intervento e del 25,6% nel gruppo di controllo. Inoltre, è stato osservato che l’elevato numero di farmaci alla dimissione e la maggiore complessità del trattamento erano associati a un aumentato rischio di riammissione. Entrambi questi parametri si sono, comunque, ridotti significativamente in seguito al programma di assistenza farmaceutica.
«I farmacisti ospedalieri dovrebbero essere coinvolti in tutte le fasi di cura del paziente», sostiene Ibarra Mira, «per poter partecipare attivamente alle decisioni terapeutiche, consigliando, implementando e monitorando eventuali modifiche della terapia in collaborazione con il medico e con gli assistiti».
Studi analoghi
A conclusioni simili erano giunti anche altri studi effettuati in precedenza. Tra questi, una revisione pubblicata nel 2018 su Advances in Therapy e realizzata da ricercatori statunitensi ha dimostrato che il contributo dei farmacisti ̶ in termini di ricognizione e riconciliazione terapeutiche, educazione del paziente, titolazione e aggiustamento del dosaggio del farmaco, monitoraggio dell’assistito, sviluppo di percorsi di gestione della malattia, promozione dell’aderenza, follow-up post-dimissione ̶ è cruciale nella transizione dei pazienti con scompenso cardiaco dall’ospedale al territorio, nell’ottica di migliorare i risultati e ridurre gli alti tassi di riammissione in ospedale, associati a maggiore morbilità, mortalità e costi.
E ancora, l’analisi di 17 studi clinici pubblicata nel 2016 su British Medical Journal Open e condotta da ricercatori australiani su 21.342 pazienti ha evidenziato che l’intervento del farmacista è efficace ed efficiente, in quanto fa diminuire le reazioni indesiderate ai medicinali che conducono a ulteriori visite ospedaliere, accessi al pronto soccorso e successivi ricoveri.
Più recente lo studio prospettico pubblicato nel 2021 sull’European Journal of Internal Medicine e realizzato dai ricercatori dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. La ricerca ha coinvolto per un anno sei reparti di medicina interna o geriatria, che dovevano arruolare 15 pazienti con 75 anni o più, in terapia cronica con almeno cinque farmaci.
Al momento della dimissione, il farmacista ha stilato una lista dei problemi correlati ai medicinali, accompagnandola con una lettera strutturata indirizzata al medico di medicina generale contenente le raccomandazioni sulla terapia prescritta. Un intervento che ha sancito una collaborazione tra le due figure professionali e che si è dimostrato utile per la migliore gestione della terapia.
Paola Arosio