Citomegalovirus, via libera negli Usa a test molecolare

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Se trasmesso durante la gravidanza dalla madre al feto, il citomegalovirus può causare danni molto gravi al nascituro.
Il rischio di trasmissione è variabile: se il germe è stato contratto per la prima volta dalla madre nel corso della gestazione (infezione primaria) si attesta intorno al 30-35%, Se, invece, era già presente in forma latente nell’organismo materno ed è andato incontro a una riattivazione durante la gravidanza (infezione secondaria), si aggira intorno all’1-2%.

Infezione sintomatica e asintomatica

Comunque sia, nei Paesi sviluppati l’infezione colpisce circa 60 mila neonati ogni anno, con un’incidenza dello 0,6-0,7%. Tra questi, la maggioranza (85-90%) resterà asintomatica, anche se circa il 10% di loro manifesterà in seguito problemi di tipo neurologico, in particolare a carico dell’udito e della vista, mentre altri (10-15%) manifesteranno subito dei sintomi, come ipoacusia, deficit neuromotori e cognitivi, problemi visivi, cui si potrebbero aggiungere ingrossamento del fegato o della milza, ittero, polmonite, ridotte dimensioni alla nascita, microcefalia, trombocitopenia, petecchie, cioè macchie rosse sulla pelle.

È stato calcolato che il numero di bambini con disabilità permanente dovuta a questa infezione è simile o addirittura maggiore rispetto a quello dei bimbi affetti da condizioni più note, come la sindrome di Down o la spina bifida.

Nuovo esame molecolare

Per evitare tutto ciò è fondamentale diagnosticare la presenza del virus in modo rapido e accurato, rendendo così possibile un intervento tempestivo con trattamenti mirati.
È su questa scia che negli Usa è stato autorizzato il test molecolare Simplexa Congenital Citomegalovirus Direct, che consente di rilevare il microrganismo in campioni di saliva e di urine di bambini di età pari o inferiore a 21 giorni.

Il test è stato progettato per essere impiegato sulla piattaforma Liaison Mdx, un termociclatore con dischi consumabili in due opzioni: disco di amplificazione diretta a otto pozzetti per l’analisi campione-risposta e disco universale a 96 pozzetti per analisi di volumi più elevati.

Programmi di screening

Attualmente varie organizzazioni sanitarie nel mondo stanno valutando l’ipotesi di effettuare programmi universali di screening. In proposito, un team di studiosi americani, inglesi e australiani ha condotto uno studio pubblicando i risultati nel 2014 su Reviews in medical virology.
Secondo gli autori, il test potrebbe essere limitato ai bambini che presentano particolari fattori di rischio, come per esempio essere piccoli rispetto all’età gestazionale o avere fallito le prime prove per l’udito.

Paola Arosio