Nel 2019 sono stati eseguiti in Europa più di 34 mila trapianti di organi solidi, tra cui fegato, rene, cuore, e oltre 48 mila trapianti di cellule staminali ematopoietiche. Il 16-56% dei pazienti sottoposti alla prima procedura e il 30-80% di quelli sottoposti alla seconda vanno purtroppo incontro a un’infezione da citomegalovirus, un virus appartenente alla famiglia degli herpes virus.
Attualmente sono disponibili varie terapie per prevenire e gestire la malattia, il problema è che, nonostante ciò, possono comunque verificarsi casi di infezioni e alcuni assistiti possono non rispondere al trattamento.
«Il percorso del paziente trapiantato si estende ben oltre il trapianto stesso, a cominciare dalla prevenzione dell’infezione da citomegalovirus che, quando non viene trattato con successo, provoca maggiori probabilità di rigetto dell’organo, tassi di ospedalizzazione più elevati, spese aggiuntive per il sistema», spiega Luciano Potena, direttore dell’UO Insufficienza Cardiaca e Trapianti del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e presidente della European Society for Organ Transplantation.
Farmaco che inibisce la proteina UL97
Ora è, però, a disposizione un’arma in più per contrastare il virus refrattario a una o più terapie precedenti, tra cui ganciclovir, valganciclovir, cidofovir, foscarnet, in pazienti che abbiano subito un qualsiasi tipo di trapianto.
La Commissione Europea ha, infatti, concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio a maribavir, il primo trattamento orale che inibisce la proteina chinasi UL97, bloccando così la replicazione virale.
Uno studio su oltre 300 pazienti
Il via libera si è basato sui risultati dello studio di fase 3 chiamato Solstice, globale, multicentrico, randomizzato, in aperto, controllato, mirato a valutare l’efficacia e la sicurezza del nuovo medicinale. Gli sperimentatori hanno arruolato 352 pazienti sottoposti a trapianto con infezione da citomegalovirus refrattaria alle terapie antivirali convenzionali. Dopo averli sottoposti a un periodo di screening di due settimane, li hanno divisi in due gruppi: 235 assistiti hanno ricevuto maribavir, i restanti 117 le terapie convenzionali.
Alla fine dell’ottava settimana, i ricercatori hanno misurato i livelli di concentrazione del virus nel sangue. Dall’analisi è emerso che il 56% dei pazienti trattati con maribavir aveva livelli inferiori a quelli misurabili contro il 24% di coloro a cui era stato somministrato il trattamento convenzionale.
Eventi avversi
Tra gli effetti collaterali più comuni di maribavir, sono stati rilevati disturbi del gusto, nausea, diarrea, vomito, affaticamento. Poiché il farmaco può ridurre l’attività antivirale di ganciclovir e valganciclovir, la co-somministrazione con questi medicinali non è raccomandata.
Inoltre, dato che il fallimento virologico dovuto alla resistenza può verificarsi sia durante sia dopo il trattamento, è necessario monitorare con continuità i livelli di citomegalovirus nel sangue dei pazienti trapiantati.
Paola Arosio