Le malattie rare colpiscono tra i 25 e i 30 milioni di persone in Europa, di cui circa 2 milioni in Italia e molte sono le patologie ancora prive di terapia. Per questo è necessario supportare la ricerca, semplificando la normativa, garantendo accesso omogeneo ai farmaci in tutti i Paesi europei, accelerando i processi di sperimentazione clinica. Il tutto con una strategia di lungo periodo che punti ad attrarre gli investimenti per sviluppare medicinali orfani e a uso pediatrico.
Sono alcuni degli argomenti di cui si è discusso nel workshop dal titolo “Malattie rare e pediatria: innovazione terapeutica e misure nazionali ed europee di attrazione degli investimenti”, che si è tenuto di recente a Roma e che è stato promosso dall’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con Farmindustria.
Lo scenario europeo
Un primo traguardo importante nel settore, dal punto di vista legislativo, è avvenuto nel 2000, quando l’Unione europea ha adottato il Regolamento 141, che ha fissato i criteri e le procedure per la designazione di farmaco orfano da parte dell’autorità regolatoria europea.
Rilevante anche il Regolamento 1901 del 2006, che ha disciplinato lo sviluppo di medicinali per uso pediatrico. Entrambi erano mirati a garantire, in pratica, l’applicazione di specifiche misure favorevoli all’innovazione, che hanno attratto gli investimenti.
Prova ne è il fatto che in Europa negli ultimi vent’anni, come ricorda Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, «oltre 2.500 farmaci sono stati designati come orfani e più di 200 medicinali per le malattie rare hanno ottenuto l’autorizzazione per l’immissione in commercio. Inoltre, tra il 2016 e il 2021 le sperimentazioni cliniche sono triplicate».
Oggi il regolamento 141 è in fase di revisione, per renderlo ancora più moderno e in linea con i progressi tecnologici e scientifici. Alla fine del 2022 la Commissione Europea si pronuncerà sulla nuova legislazione farmaceutica.
«La normativa attuale funziona perché offre delle garanzie: le aziende sanno che investendo su determinate patologie possono arrivare alla registrazione dei propri farmaci», sostiene Lucia Aleotti, azionista e membro del consiglio di amministrazione di Menarini, oltre che vicepresidente di Farmindustria. «Quando si vogliono reindirizzare gli incentivi, occorre coinvolgere le industrie per verificare che le nuove norme costituiscano un effettivo sprone».
«C’è una crescente competizione a livello europeo sui farmaci orfani», rileva Ugo Di Francesco, amministratore delegato di Chiesi, «e da parte di tutti noi c’è da scongiurare il rischio che si possa rinegoziare al ribasso la generazione di innovazione».
In questo scenario, si è aggiunto il nuovo Regolamento sui clinical trial, entrato in vigore nel gennaio 2022, che mira ad armonizzare i processi di presentazione, valutazione e supervisione delle sperimentazioni cliniche in Europa. In particolare, è stato attivato il Sistema informativo delle sperimentazioni cliniche (Clinical trial information system, Ctis) per razionalizzare i procedimenti, con l’obiettivo di fare in modo che il nostro continente continui ad attrarre la ricerca clinica.
La situazione nel nostro Paese
E l’Italia? Dall’ultima analisi di IQVIA emerge che tra il 2017 e il 2020 il tempo medio impiegato tra l’autorizzazione all’immissione in commercio e l’accesso al farmaco orfano è stato di 482 giorni, un dato inferiore alla media europea. Inoltre, nel nostro Paese il 75% di farmaci orfani approvati in Europa sono già disponibili contro il 37% della media europea.
E ancora, l’agenzia regolatoria italiana evidenzia che il procedimento autorizzativo per i farmaci orfani, dalla presentazione del dossier di prezzo e rimborso alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è durato in media circa 400 giorni nel 2020, con una diminuzione rispetto ai circa 450 giorni del 2018.
«L’Italia ha fatto passi avanti importanti verso un accesso omogeneo ai medicinali orfani su tutto il territorio nazionale», dichiara Scaccabarozzi. «Ora occorre continuare sulla strada intrapresa per garantire la certezza dei tempi di accesso e l’eliminazione delle differenze regionali che ancora persistono.
Bisogna, inoltre, procedere all’ampliamento dello screening neonatale, all’approvazione del nuovo Piano nazionale delle malattie rare e alla semplificazione del percorso di inserimento di queste ultime nei Livelli essenziali di assistenza».
«L’ente regolatorio italiano è stato il primo ad attivare una serie di bandi sulla ricerca indipendente», rende noto il prof. Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, «per dare la possibilità alle istituzioni accademiche di sviluppare progettualità che altrimenti non sarebbero mai state avviate.
Occorre investire per migliorare la ricerca in ambito pediatrico e per aumentare i farmaci a disposizione. Bisogna, inoltre, pensare ad approcci innovativi per evitare le ridondanze e i ritardi nelle autorizzazioni».
Paola Arosio