I pazienti ricoverati in Terapia Intensiva spesso necessitano di una alimentazione parenterale, considerata come un’azione medica complessa e non scevra di rischi anche gravi per il paziente, a partire dalla possibilità di infezione della cannula attraverso la quale viene nutrito, problematiche metaboliche e complicazioni vascolari.
Queste le ragioni che spingono molti esperti a ritenere necessario il coinvolgimento del farmacista clinico, opportunamente formato, con il compito di verificare se la richiesta di alimentazione parenterale sia adeguata a un determinato paziente.
Il farmacista può infatti fare degli aggiustamenti in base allo stato nutritivo del paziente, oppure valutare l’appropriatezza della nutrizione parenterale in base alle indicazioni o assicurarsi che gli ingredienti contenuti nella soluzione individuata siano stabili e compatibili tra loro e con gli altri farmaci assunti dal paziente. Ci sono poi degli aiuti meno diretti, come lo sviluppo di programmi di supporto decisionale per i clinici.
Si vede quindi che il ruolo del farmacista ospedaliero può essere davvero attivo in questo contesto. Questo il tema al centro di una lettera scritta all’editore del giornale “Critical Care Exploration” da un team afferente al Dipartimento di Pratica Farmaceutiva della Marshall B. Ketchum University di Fullerton, in California, e della Specialità in Nutrizione Clinica e Farmacia del JBoullata, PharmD Consulting Services di Philadelphia, in Pennsylvania.
Partendo dai risultati di uno studio pubblicato sulla stessa rivista lo scorso dicembre e inerente le ricadute positive, economiche e non, rese possibili dall’intervento in Area Critica del farmacista ospedaliero (Rech MA, Gurnani PK, Peppard WJ, Smetana KS, Van Berkel MA, Hammond DA, Flannery AH. PHarmacist Avoidance or Reductions in Medical Costs in CRITically Ill Adults: PHARM-CRIT Study. Crit Care Explor. 2021 Dec 10;3(12):e0594. doi: 10.1097/CCE.0000000000000594. PMID: 34913039; PMCID: PMC8668016), gli autori sottolineano che quando il farmacista supporta la nutrizione parenterale si hanno miglioramenti negli outcome del paziente, in termini di durata del ricovero, mortalità e riduzione degli eventi avversi.
Secondo gli autori, nello studio di dicembre questi miglioramenti clinici non vengono tenuti in considerazione e gli autori si limitano a fare una valutazione della differenza di costo dell’intervento se gestito dai soli clinici o se vi è l’aiuto del farmacista. Ciò è, secondo gli autori della lettera, un errore, perché integrare vantaggi economici e clinici renderebbe ancora più chiara l’importanza di coinvolgere i farmacisti ospedalieri nella prescrizione e gestione della nutrizione parenterale.
C’è un altro punto interessante in questa lettera: gli autori parlano dei risultati di un’indagine nazionale condotta negli USA relativa al supporto clinico alla nutrizione che evidenziano come il 23% delle strutture coinvolte non ha un servizio di farmacia ospedaliera dedicato alla revisione delle richieste di alimentazione parentale… mentre il 44% non traccia nemmeno gli errori correlati a questo intervento. Ciò rende difficile, ovviamente, avere un’idea chiara degli eventi avversi a esso associati.
Sarebbe interessante capire quale sia la situazione nel nostro Paese, dove i Farmacisti Ospedalieri vengono certo formati alla supervisione di questo intervento nutrizionale e spesso chiamati alla revisione delle prescrizioni… ma ciò avviene sempre?
(Lo studio: Salman, Genene PharmD, BCCCP, BCPS, CNSC1; Boullata, Joseph I. PharmD, RPh, CNS-S, FASPEN, FACN2 The Value of Nutrition Support Pharmacist Interventions, Critical Care Explorations: February 2022 – Volume 4 – Issue 2 – p e0650 doi: 10.1097/CCE.0000000000000650)
Stefania Somaré