La continuità assistenziale è uno degli aspetti su cui la nostra sanità sta lavorando da anni per ottenere un percorso di cura che inizi in ospedale e prosegua sul territorio e renderlo il più semplice possibile da seguire.
L’aderenza alle terapie prescritte e ai follow-up è importante per garantire il buon esito del percorso.
In questo processo rientrano i professionisti ospedalieri, che hanno il compito di comunicare al meglio alla controparte territoriale l’iter da seguire, e i medici di base che, ottenute le informazioni, ha il compito di guidare il paziente.
Accanto a questi attori vanno considerati anche i farmacisti territoriali: non è raro, infatti, che il paziente si rivolga anche a loro per risolvere dubbi, fare domande e così via.
La domanda è, quindi: non dovrebbero essere inseriti anche loro del processo di continuità assistenziale? E se si, con che compito? Negli ultimi anni i farmacisti territoriali hanno dimostrato di poter affiancare l’utente con grande competenza, affrancandosi, per così dire, dal ruolo di meri venditori di farmaci… tant’è che sono un importante punto di riferimento per la cittadinanza.
Aiuta il fatto che le farmacie sono capillarmente diffuse sul territorio e non hanno orari di ricevimento, né richiedono prenotazioni, come invece i medici di medicina generale.
Ecco quindi che la statunitense University of Wisconsin Hospitals and Clinics ha pubblicato sul Journal of the American Pharmacists Association i risultati dell’implementazione di un programma di passaggio di informazioni tra farmacista ospedaliero e territoriale nel migliorare la sicurezza del paziente dopo la dimissione.
Più nel dettaglio il progetto prevede che un farmacista ospedaliero effettui, prima delle dimissioni del paziente, una riconciliazione delle terapie in uso, per poi inviare indicazioni specifiche alle farmacie di riferimento sul territorio, il tutto per via elettronica. In questo modo il professionista territoriale riceve direttamente le indicazioni sul paziente, senza che questi debba ricordarsi di portare la lettera di dimissioni o altri fogli cartacei. La realizzazione del programma è stata richiesta dagli stessi farmacisti di comunità che si sono accorti della presenza di imprecisioni in molte delle prescrizioni.
Lo studio si è focalizzato sull’individuazioni di discrepanze nelle prescrizioni di medicinali, dell’iscrizione a servizi di gestione dei farmaci rimborsabili e sulla tanquillità dei farmacisti di comunità. Lo studio ha così potuto rilevare 388 discrepanze di prescrizione su 161 pazienti nel periodo di studio, il 16% delle quali di tipo “non intenzionale”.
La presenza di chiare indicazioni da parte dei farmacisti ospedalieri consente inoltre ai farmacisti di territorio di aumentare le pratiche di riconciliazione terapeutica fatte sui propri utenti, aumentandone la sicurezza. Cresce anche la sicurezza dei farmacisti di comunità nel trattare con pazienti che sono stati da poco dimessi dall’ospedale.
Infine, su un piccolo campione di 25 pazienti in fase di dimissione, si è visto che questo programma facilita l’iscrizione a service di gestione delle terapie, come somministrazione, sincronizzazione e packaging.
Lo studio dimostra quindi che un maggior dialogo tra i farmacisti che operano nei vari setting di cura può migliorare il passaggio da ospedale a territorio dei pazienti, oltre al lavoro stesso dei professionisti.
(Lo studio: Kerstenetzky-Brenny L, Adamsick ML, Lauscher RL, Kennelty KA, Hager DR. Pharmacist discharge summary: Impact of inpatient to community pharmacist handoff at hospital discharge. J Am Pharm Assoc (2003). 2022 Aug 12:S1544-3191(22)00275-8. doi: 10.1016/j.japh.2022.08.005. Epub ahead of print. PMID: 36064524)
Stefania Somaré