La colangite biliare primitiva è una rara malattia autoimmune con incidenza compresa tra 0,33 e 5,8/100.000 e prevalenza compresa tra 1,91 e 40,2/100.000. Nel mondo questa malattia interessa circa 100 mila nuovi pazienti l’anno, in gran parte donne, dal momento che questa patologia progressiva colpisce nel 90% dei casi il genere femminile.
L’età di esordio è tra i 40 e i 50 anni. La patologia è invece rara tra i bambini. Attualmente la colangite biliare primaria viene trattata in prima linea con l’acido ursodesossicolico, farmaco che però in alcuni casi non riesce a portare benefici. Dal 2017 è disponibile anche in Italia l’acido obeticolico, usato come terapia di seconda linea in caso di fallimento dell’acido ursodesossicolico.
In Italia sono almeno 1400 i pazienti in cura con questo farmaco, seguiti da 150 centri esperti. In questi 7 anni di utilizzo, sono stati raccolti dati post-marketing relativi alla sicurezza di più di 40.000 pazienti/anno, confermando un profilo di sicurezza ben definito per l’acido obeticolico; eppure, a settembre 2024 la Commissione Europea ha deciso di revocarne l’autorizzazione all’immissione in commercio.
Il motivo, una raccomandazione del Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali, basata sullo studio Cobalt, randomizzato e controllato con placebo. Uno studio che, secondo tanti esperti, presenza varie limitazioni e che, comunque, non tiene conto della sicurezza in Real World Evidence.
La prof.ssa Vincenza Calvaruso, segretaria nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, sottolinea: “nel fare le proprie valutazioni e nell’emettere il proprio parere, il CHMP sembra non aver preso in considerazione i dati dello studio di RWE Recapitulate, i cui primi dati sono stati pubblicati nel marzo 2023 e ulteriori risultati sono stati presentati al congresso internazionale dell’European Association for the Study of the Liver, nel giugno 2024.
I dati italiani raccolti dalla comunità scientifica nella pratica clinica, a decorrere dal 2018 su 759 pazienti trattati con l’acido obeticolico in 66 centri, hanno dimostrato un beneficio clinico del farmaco nel ridurre la progressione della malattia e lo sviluppo di danni epatici irreversibili”.
Al momento la decisione della CE è stata sospesa, in attesa di nuovi dati.
Lo sconcerto degli specialisti
In caso la CE decidesse davvero di rendere non più commerciabile l’acido obeticolico, la risoluzione andrebbe a svantaggio anche dei pazienti già in cura con il farmaco. Anche presupponendo che si trovino delle alternative, infatti, non ci sono studi che valutino gli effetti dal passaggio dal vecchio farmaco al possibile nuovo.
La prof.ssa Annarosa Floreani, studiosa senior all’Università di Padova e consulente scientifica all’Irccs di Negrar di Verona, spiega: “se non si trova subito una soluzione, il rischio è di tornare indietro di oltre 7 anni, a uno stadio precedente l’entrata in commercio di questo farmaco, cioè di una malattia che può avere una progressione, mettendo a rischio la vita delle persone e diminuendone sensibilmente la qualità.
Altri trattamenti sono in fase di sviluppo, ma attualmente non sono ancora disponibili per i pazienti e non sono dimostrati nella pratica clinica. Inoltre, hanno meccanismi d’azione diversi e non sono quindi intercambiabili con l’acido obeticolico. È pertanto fondamentale che i medici abbiano a disposizione un’ampia varietà di trattamenti per la cura dei pazienti affetti da CBP”.
Forse una soluzione al problema esiste già
Nelle settimane intercorse tra le dichiarazioni della CE a oggi, gli specialisti hanno cercato e discusso possibili soluzioni.
Una è emersa da due interrogazioni parlamentari sostenute dai senatori Elisa Pirro e Ignazio Zullo, membri della Commissione X Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale: applicare l’art. 117.3 della Direttiva 2001/83 CE, recepito in Italia dall’art. 43 del Decreto del Ministero della Salute del 30 aprile 2015.
L’articolo 43.2 dice: “L’AIFA, per un medicinale la cui commercializzazione è stata vietata o che è stato ritirato dal mercato a norma dei commi 1 e 2 e dell’art. 24, in circostanze eccezionali e per un periodo transitorio, può consentire la commercializzazione del medicinale a pazienti già in cura con il medicinale”.
Quindi, in sostanza, l’articolo “prevede che, in caso di revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, le autorità nazionali competenti possano, in circostanze eccezionali, continuare a consentirne la fornitura ai pazienti già in cura. Sembrerebbe proprio applicabile per questa situazione e mi auguro che possa essere presa in considerazione”, ricorda Pirro.
Zullo aggiunge: “applicare l’art. 117 sarebbe auspicabile, anche considerando il fatto che la revoca non ha riguardato motivi di sicurezza del farmaco e che per queste persone a oggi non c’è alternativa. Sono a disposizione per supportare la comunità CBP nel portare questa soluzione, o eventuali altre, all’attenzione delle istituzioni”.
Si spera, quindi, di riuscire a mantenere in cura almeno i pazienti che già usano l’acido obeticolico, per il periodo necessario a sviluppare eventualmente nuove cure e verificare che lo switch sia sicuro. Importante sottolineare che quanto espresso dagli specialisti italiani è condiviso anche dalla comunità medica europea.
Sarà poi necessario modificare i protocolli di studio per le malattie rare, così da poter dare maggiore voce ai dati real world: questo caso non è isolato, infatti. Nel 2024 è stato già ritirato un altro farmaco destinato a malattia rara, anche in questo caso con modalità un poco fumose.