Ricerca clinica, ancora escluse le persone con disabilità

Anche le persone con disabilità dovrebbero essere incluse negli studi clinici. Lo sostengono le ricercatrici statunitensi Bonnielin Swenor, direttrice del Centro di ricerca sulla salute della disabilità della Johns Hopkins University, e Jennifer A. Deal, assistente al dipartimento di Epidemiologia della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.

Dalle donne alle minoranze etniche

Già nel 1993 negli Stati Uniti, il Paese in cui viene effettuata la maggior parte delle sperimentazioni a livello mondiale, è stato firmato il Revitalization Act, un documento che ha sancito l’istituzione delle linee guida del National Institutes of Health affinché le donne e le minoranze razziali ed etniche fossero maggiormente rappresentate negli studi.
Per raggiungere l’obiettivo, la normativa ha anche predisposto finanziamenti dedicati e progettato infrastrutture, inclusa la creazione di un apposito Ufficio di ricerca.

Un ulteriore passo avanti è stato compiuto nel 2016 con il 21° Century Cures Act, che ha incentivato l’inclusione nella ricerca di bambini e anziani. Attualmente gli scienziati che ricevono sovvenzioni governative per una sperimentazione hanno l’obbligo di indicare i dati riguardanti sesso, razza, gruppo etnico, età dei partecipanti. Quindi qualcosa si sta muovendo in direzione di una maggiore completezza e generalizzabilità dei risultati.

I dati per andare oltre le disuguaglianze

Eppure, le persone con disabilità, cioè con deficit sensoriali, fisici, cognitivi oppure con malattie mentali, rimangono tuttora escluse.

«L’attuale paradigma della ricerca vede la disabilità soprattutto come una condizione da prevenire o curare, ma non fornisce le prove necessarie a promuovere l’equità e la salute di questi pazienti», commentano le autrici. «Poiché la medicina e la salute pubblica si basano sui dati, necessari per supportare l’allocazione delle risorse e per prendere decisioni politiche e cliniche, la mancanza di questi ultimi perpetua disuguaglianze ed emarginazione».

I vaccini contro il Covid

C’è un altro elemento da considerare: la prevalenza della disabilità è in aumento, soprattutto a causa del progressivo innalzamento dell’età media della popolazione e della lunga pandemia.

«Esistono prove crescenti del fatto che il Covid abbia avuto effetti più deleteri sui disabili», aggiungono Swenor e Deal. «E sebbene Pfizer-Biontech e Moderna abbiano riportato i dati delle sperimentazioni vaccinali riguardanti età, razza, gruppo etnico, mancano quelli relativi alle persone con disabilità».

Cinque proposte

Che fare, dunque, per porre rimedio alla situazione? Lo suggeriscono le due esperte, che propongono cinque azioni per raggiungere il traguardo di una maggiore inclusività: iscrivere le persone con disabilità nell’elenco dei gruppi minoritari e delle popolazioni colpite da disuguaglianze sanitarie, stabilire fonti di finanziamento ad hoc, raccogliere e riportare i dati relativi alla disabilità che emergono dagli studi, coinvolgere la comunità dei disabili nei processi di ricerca, creare infrastrutture idonee.

Paola Arosio