Sclerosi multipla, attività fisica riduce disturbi dell’umore

Una regolare attività fisica fa bene sia al sistema nervoso centrale sia al sistema immunitario, giovando ai pazienti affetti da sclerosi multipla. È il risultato di uno studio pubblicato su Neurobiology of disease e condotto dai ricercatori del Dipartimento di Neurologia dell’Istituto Neuromed di Pozzilli (Isernia), in collaborazione con gli esperti dell’Università Tor Vergata di Roma, dell’Ospedale San Raffaele di Milano e della Fondazione Santa Lucia di Roma.

Studi sui pazienti e sui roditori

Gli studiosi hanno coinvolto 235 assistiti con sclerosi multipla recidivante-remittente. Sulla base del livello di esercizio fisico nei sei mesi precedenti la valutazione, li hanno suddivisi in tre gruppi: quelli che restavano sedentari, quelli che svolgevano abitualmente attività moderata, quelli che si esercitavano con assiduità.

Al momento della diagnosi, tutti sono stati sottoposti a valutazione clinica, neuropsicologica, psichiatrica, a risonanza magnetica e a puntura lombare per prelevare una piccola quantità di liquido cerebrospinale, allo scopo di analizzare i livelli di specifiche molecole infiammatorie (interleuchina-2 e interleuchina-6), associate a progressione della disabilità, maggiore neurodegenerazione, più elevata incidenza di disturbi dell’umore.
La puntura lombare è stata effettuata anche in un gruppo di controllo, composto da 80 persone con patologie non infiammatorie e non degenerative.

Una seconda parte dell’esperimento è stata condotta sui topi in laboratorio. In particolare, i ricercatori hanno allevato roditori con encefalomielite autoimmune sperimentale, il modello animale di sclerosi multipla, in gabbie sia standard (gruppo sedentario), sia munite di ruote mobili (gruppo di esercizio). Inoltre, hanno somministrato a un gruppo di roditori sani di controllo interleuchina-2, tramite un’iniezione intracerebrale, per poi condurre studi comportamentali ed elettrofisiologici.

I risultati promuovono l’esercizio

Analizzando i pazienti dei tre gruppi, una differenza di rilievo è stata evidenziata nel sintomo dell’affaticamento. In particolare, quest’ultimo era significativamente più basso nel gruppo che praticava esercizio con assiduità rispetto al gruppo dei sedentari.
Anche la depressione, presente nel 25,9% dei pazienti con sclerosi multipla, era distribuita in modo diverso nei tre raggruppamenti: 34% nei sedentari, 20,9% in chi praticava attività fisica moderata, 10,8% in coloro che svolgevano esercizio in modo assiduo.

Pure l’ansia di stato e l’ansia di tratto, rintracciabili rispettivamente nel 28,2% e nel 13,2% degli assistiti con la malattia, differivano nei tre insiemi: la prima era rilevabile nel 39,4% dei sedentari, nel 9,3% di coloro che svolgevano attività fisica moderata e nel 21,6% di coloro che praticavano esercizio assiduamente, mentre la seconda si attestava al 19,1% nei sedentari, al 4,7% in chi praticava attività fisica moderata e all’8,1% in chi svolgeva esercizio con assiduità.

Per quanto riguarda poi le molecole infiammatorie, interleuchina-2 e interleuchina-6 sono risultate significativamente aumentate nei pazienti con sclerosi multipla rispetto al gruppo di controllo.

Per esplorare l’associazione tra attività fisica e infiammazione al momento della diagnosi, gli studiosi hanno confrontato le concentrazioni di sostanze infiammatorie nei tre gruppi, evidenziando che i livelli di interleuchina-2 e interleuchina-6 erano significativamente più bassi nel gruppo che svolgeva esercizio con assiduità rispetto al gruppo dei sedentari.

È stato, inoltre, dimostrato che, nei topi con encefalomielite autoimmune, l’esercizio fisico ha ridotto i comportamenti depressivi e, in misura minore, quelli ansiosi e ha anche diminuito l’interleuchina-2. Nei roditori sani di controllo, l’iniezione di interleuchina-2 ha, invece, indotto un comportamento ansioso e depressivo e ha alterato la neurotrasmissione.

Risultati, questi, che suggeriscono che l’esercizio fisico praticato in fase precoce può modificare il decorso della sclerosi multipla, sebbene siano necessari ulteriori studi longitudinali per chiarire l’ipotesi.

Paola Arosio