Catania: tecnica innovativa per trattare il deficit di AADC in una bambina di 18 mesi

La più piccola paziente a oggi trattata in Europa. La tecnica neurochirurgica prevede l'uso di neuronavigazione, TAC intraoperatoria e braccio robotico. La terapia genica è eladocagene exuparvovec.

Il portale Orphanet definisce così il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (AADC): «una malattia neurometabolica grave rara, di origine genetica, i cui segni clinici sono correlati alla compromissione della sintesi della dopamina, della noradrenalina, dell’adrenalina e della serotonina. Il quadro clinico comprende l’ipotonia muscolare a esordio precoce, i disturbi del movimento, il ritardo dello sviluppo, la ptosi e i sintomi non motori, come disturbi del sonno, irritabilità, iperidrosi e congestione nasale».

Malattia autosomica recessiva, questo deficit ha prevalenza inferiore a un caso ogni mille nati vivi. La patologia non è inserita nello screening neonatale, anche se diverse Regioni hanno avviato progetti per includerlo nello screening esteso, in virtù del basso costo del test necessario.

Tra queste Regioni c’è anche la Sicilia dove, proprio grazie a test, la patologia è stata diagnosticata a una neonata che, raggiunta l’età minima di 18 mesi, è stata sottoposta alla terapia genica eladocagene exuparvovec. Si tratta della somministrazione one shot direttamente nel putamen del cervello di un vettore virale modificato per trasportare il gene DDC umano in versione funzionante. Una volta giunto al bersaglio, il gene ristabilisce la possibilità delle cellule di sintetizzare i neurotrasmettitori mancanti. Approvata nel 2022, la terapia ha ricevuto la rimborsabilità in Italia nel 2023.

Una tecnica innovativa

Il deficit AADC colpisce qualche centinaio di persone in tutto il mondo. In Italia a oggi sono state contate 17 diagnosi, delle quali ben 7 in Sicilia. Tra queste persone anche Aurora.

«Il Policlinico Rodolico-San Marco di Catania è stato il primo ospedale, attraverso la sua équipe multidisciplinare composta da neurochirurghi, anestesisti rianimatori pediatrici, neuroradiologi, pediatri e il personale infermieristico, ad attivare una procedura davvero innovativa di somministrazione di questo farmaco – racconta Giuseppe Barbagallo, direttore della UOC Neurochirurgia, del Policlinico siciliano – Non abbiamo, difatti, utilizzato la tecnica tradizionale stereotassica ma abbiamo puntato a un intervento di neurochirurgia attraverso la neuronavigazione con braccio robotico che ha permesso di infondere la terapia genica nei quattro punti del putamen della bimba con la massima precisione.

Per compiere questa delicata operazione, la neuronavigazione è stata supportata dalla fusione in tempo reale delle immagini di RMN preparatoria e TAC intraoperatoria».

La terapia ha già determinato segni di miglioramento su Aurora, che è tornata a muovere gli occhi e, nel tempo, testa, gambe e braccia. Inoltre, ha iniziato a interagire con chi le sta intorno.

Il valore dello screening neonatale esteso

La storia raccontata sottolinea il valore e l’importanza di portare avanti lo screening neonatale esteso.
Spiega Marianna Messina, responsabile NBS del AOU Policlinico Rodolico-San Marco di Catania: «lo screening neonatale per il deficit di AADC al momento è un’iniziativa territoriale in quanto la patologia non è ancora stata inserita nel panel nazionale delle malattie da individuare alla nascita.
Si tratta, però, di uno strumento fondamentale: un semplice test, a basso costo, che permette di ottenere una diagnosi anticipata e quindi una gestione tempestiva della malattia, compresa la possibilità di intervenire con la terapia genica. Fattori in grado di rivoluzionare la storia naturale della malattia e la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Uno strumento, infine, efficace che ci sta consentendo di ampliare le conoscenze scientifiche anche in campo epidemiologico. Grazie allo SNE, i dati di incidenza della malattia stanno cambiando in maniera significativa».

Fino a poco tempo fa si pensava che il deficit interessasse circa 200 pazienti in tutto il mondo, ma oggi è chiaro che la patologia è sotto diagnosticata.

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