L’occlusione venosa retinica si manifesta quando la vena della retina si ostruisce limitando l’afflusso di sangue. Ciò provoca ischemia, sanguinamento, fuoriuscita di liquido, edema maculare, con conseguente perdita della vista improvvisa e indolore a carico dell’occhio interessato.
La malattia, che colpisce circa 28 milioni di adulti nel mondo, soprattutto gli over 60, si può manifestare con due tipi di occlusione: quella centrale, che colpisce più di quattro milioni di persone e si verifica quando si ostruisce la vena retinica principale, e quella di branca, che interessa oltre 23 milioni di persone e si manifesta quando si ostruisce una delle quattro diramazioni più piccole della vena principale.
Per offrire nuove opzioni di trattamento ai pazienti affetti dalla patologia, i ricercatori stanno testando faricimab, un anticorpo bispecifico che agisce neutralizzando sia l’angiopoietina 2 (Ang-2), sia il fattore di crescita endoteliale vascolare A (Vegf-A).
Entrambi determinano destabilizzazione vascolare, causando lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni permeabili e aumentando l’infiammazione oculare.
Migliora l’acuità visiva
Per valutare il farmaco, sono stati realizzati due studi di fase 3, Balaton e Comino, randomizzati, multicentrici, in doppio cieco, internazionali, mirati a dimostrare la sicurezza e l’efficacia di faricimab rispetto ad aflibercept.
La prima sperimentazione è stata condotta su 553 pazienti con occlusione di branca, mentre la seconda è stata realizzata su 729 assistiti con occlusione centrale.
Nelle prime 20 settimane, i partecipanti hanno ricevuto sei iniezioni mensili di faricimab oppure di aflibercept.
Nelle settimane comprese tra la 24ᵃ e la 72ᵃ, è stato, invece, somministrato a tutti i pazienti faricimab, secondo un regime posologico basato su un intervallo di trattamento personalizzato, con un approccio treat and extend.
In entrambi gli studi faricimab ha dimostrato un miglioramento dell’acuità visiva non inferiore a quello osservato con aflibercept. Il miglioramento medio della vista è risultato sovrapponibile tra i due trattamenti in entrambi gli studi.
Nello studio Balaton, a 24 settimane, il miglioramento è stato di 16,9 lettere della tavola ottometrica nel braccio faricimab e di 17,5 nel braccio aflibercept.
Nello studio Comino, a 24 settimane, il miglioramento è stato di 16,9 lettere nel braccio faricimab e di 17,3 nel braccio aflibercept. La percentuale di pazienti che hanno guadagnato 15 o più lettere è risultata sovrapponibile tra i bracci di trattamento in entrambe le sperimentazioni.
Il liquido retinico si riassorbe
Inoltre, faricimab ha consentito di ottenere un rapido riassorbimento del liquido retinico, come rilevato dalla riduzione dello spessore della retina centrale. In entrambi gli studi, la diminuzione di quest’ultimo è risultata sovrapponibile tra i bracci di trattamento.
Da tutte e due le sperimentazioni è anche emerso che un numero più elevato di pazienti trattati con faricimab ha evidenziato l’assenza di fuoriuscita di liquido dai vasi sanguigni nella retina rispetto ai pazienti trattati con aflibercept.
Nello specifico, nello studio Balaton un terzo degli assistiti (34%) trattati con faricimab ha mostrato l’assenza di fuoriuscita di liquido, contro un quinto (21%) degli assistiti trattati con aflibercept.
Nello studio Comino, i tassi si sono attestati al 44% per i pazienti trattati con faricimab e al 30% per i pazienti trattati con aflibercept. In entrambe le ricerche, la reazione avversa più comune è stata l’emorragia della congiuntiva (3%).
I dati degli studi saranno presentati alle autorità sanitarie di tutto il mondo, affinché possano approvare il farmaco per il trattamento dell’edema maculare dovuto a occlusione venosa retinica. In caso di approvazione, questa rappresenterebbe la terza indicazione di faricimab, attualmente già autorizzato in oltre 50 Paesi per il trattamento della degenerazione maculare legata all’età neovascolare o “umida” e dell’edema maculare diabetico.