Circola nelle corsie degli ospedali ed è il principale responsabile delle infezioni correlate all’assistenza. Si tratta del Clostridioides difficile, un bacillo anaerobico, Gram-positivo, che si trasmette per via oro-fecale, producendo le tossine A e B, responsabili dei sintomi della malattia, tra cui diarrea, dolore addominale, febbre, fino alla sepsi fulminante, altamente letale.
Le sue spore sopravvivono nell’ambiente acido dello stomaco e germinano nell’intestino, che funge da reservoir, facilitando la trasmissione del batterio tra i pazienti e le frequenti recidive, che interessano il 10-30% circa dei casi.
Secondo recenti analisi, l’infezione è associata a un aumento della degenza ospedaliera (di 2,8-5,5 giorni), dei costi, della morbilità e della mortalità. Da qui la necessità di arginare questo pericoloso germe.
Strategie aggiornate di prevenzione
La lotta contro il batterio si deve anzitutto giocare sul piano della prevenzione. Lo sostiene il nuovo documento intitolato Strategie per prevenire le infezioni da Clostridioides difficile negli ospedali per acuti, appena pubblicato su Infection Control Hospital Epidemiology.
Il report, che aggiorna le Strategie pubblicate nel 2014, è stato realizzato da un gruppo di esperti appartenenti a Society for Healthcare Epidemiology of America (Shea), Infectious Diseases Society of America (Idsa), Association for Professionals in Infection Control and Epidemiology (Apic), American Hospital Association (Aha), Joint Commission, Centers for Disease Control and Prevention.
Varie le raccomandazioni riportate nel testo, classificate come «pratiche essenziali» (in precedenza erano denominate «pratiche di base») oppure come «approcci aggiuntivi» (in precedenza definiti «approcci speciali»).
In particolare, a differenza di ciò che avveniva in passato, attuare un programma di gestione antimicrobica, implementare pratiche di gestione diagnostica per l’uso appropriato dei test per Clostridioides difficile, valutare l’adeguatezza della pulizia delle stanze di degenza sono ora indicati come «pratiche essenziali», dalle quali non si può prescindere.
Tra i problemi irrisolti si annoverano, invece, l’identificazione dei portatori asintomatici dell’infezione e l’uso della profilassi antibiotica per i gruppi ad alto rischio.
Un prodotto a base di microbiota
Nel caso in cui le strategie preventive non fossero sufficienti a scongiurare l’infezione, occorre puntare su trattamenti efficaci.
Uno dei più nuovi è Vowst, la prima pillola a base di microbiota fecale, sviluppata dalla società di biotecnologie Massachusetts Seres Therapeutics e di recente approvata dall’ente regolatorio statunitense.
Il farmaco è indicato per contrastare le infezioni ricorrenti, che si ripresentano nonostante la terapia antibatterica.
La sicurezza del prodotto è stata valutata in uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, e in uno studio clinico in aperto condotto negli Stati Uniti e in Canada.
Gli effetti indesiderati più comunemente riportati sono stati gonfiore addominale, affaticamento, costipazione, brividi, diarrea.
L’efficacia del farmaco è stata, invece, testata in uno studio randomizzato, controllato con placebo, in cui sono stati arruolati 182 pazienti, di cui 89 hanno ricevuto il principio attivo e 93 il placebo.
Dopo otto settimane, la recidiva nel primo gruppo si è attestata al 12,4%, quella nel secondo al 39,8%, confermando così la validità del trattamento.
Il dosaggio previsto è di quattro capsule da assumere per via orale una volta al giorno per tre giorni consecutivi.