Da un trattamento quasi esclusivo con cortisone, con gli effetti collaterali che comporta, a un anticorpo monoclonale, efficace, sicuro e innovativo.
Cambio di passo per la storia di EGPA, granulomatosi eosinofilica con poliangite, malattia rara conosciuta anche come sindrome di Churg-Strauss, dal nome dei due scienziati che l’hanno scoperta nel 1951.
Se ne è parlato in occasione di un incontro con la stampa organizzato da GSK.
Lo studio registrativo MIRRA, pubblicato anche sul New England Journal of Medicine nel 2017, mostra l’efficacia di mepolizumab, anticorpo monoclonale anti Interleuchina(IL)-5 nel trattamento di EGPA, facendo osservare una riduzione rapida degli eosinofili, il fattore chiave della malattia, ottimo controllo dell’asma e della rinosinusite, alcuni sintomi prevalenti e caratterizzanti la malattia, con sensibile riduzione dell’utilizzo di corticosteroidi orali, con cui la malattia si accompagna.
La malattia
EGPA ha di norma un esordio intorno ai 40 anni, è molto rara nei bambini o sopra i 65 anni. La malattia è caratterizzata da una infiammazione granulomatosa, associata alla poliangite, cioè alla presenza di vasculite (infiammazione a carico dei vasi sanguigni soprattutto di piccolo calibro), e a eosinofilia, l’infiammazione dei leucociti (specifici globuli bianchi) che può coinvolgere vari organi e tessuti.
L’EGPA è accompagnata da asma (che spesso induce all’errore alla diagnosi) e coinvolge principalmente i vasi sanguigni di polmoni e naso, sistema gastrointestinale, nervi periferici, con possibile estensione anche ad altri organi, tra i quali pelle, reni, cuore.
Non esistono vere e proprie reg flag: febbre, malessere, anemia, eruzioni cutanee, stanchezza, dolori muscolari sono alcuni dei sintomi aspecifici; maggiore attenzione devono destare perdita di peso ingiustificata, crisi asmatiche e rinosinusiti ricorrenti.
«La malattia ha due facce», ha spiegato Roberto Padoan, responsabile del Centro Vasculiti dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova, «una via prettamente autoimmune che rende ragione della vasculite e la via eosinofilica, mediata dall’infiammazione dei leucociti.
La coesistenza delle due vie spiega la tipologia di manifestazioni che possono coinvolgere le prime vie aeree, con sinusite cronica e poliposi, ma anche eosinofilica tissutale, come la gastroenterite eosinofila, e la vasculite che porta a manifestazioni più severe come la neuropatia periferica, la glomerulonefrite o la porpora cutanea.
Queste manifestazioni possono presentarsi in fasi variabili nel corso della vita del paziente, in cui le vasculiti culminano nella fase iniziale della malattia, ma che possono essere precedute anche per anni da sintomi tipicamente respiratori, tra cui asma e rinosinusite.
È una malattia difficile da inquadrare che non ha ancora un vero biomarcatore o un marcatore diagnostico, alla cui identificazione si sta lavorando; ci si basa per la diagnosi sull’eosinofilia circolante e sugli ANCA, cioè sugli anticorpi anticitoplasma dei neutrofili, presenti nel 30-40% dei pazienti».
Fondamentale è il comportamento al sospetto: «I sintomi descritti suggeriscono allo specialista, immunologo, allergologo, reumatologo e pneumologo – si tratta infatti di una malattia che richiede un approccio multidisciplinare e multisistemico», ha precisato Jan Walter Volk Schroeder, direttore del reparto di Allergologia e Immunologia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, «di sottoporre il paziente a esami di laboratorio specifici che riescono a intercettare l’esplosione eosinofila grazie al dosaggio dell’emocromo, alla formula leucocitaria ed ECP (proteina cationica eosinofila, una proteina rilasciata dagli eosinofili), unitamente a un controllo di un marker d’infiammazione come la VES».
Le fasi della malattia
L’EGPA evolve attraverso tre fasi, la cui durata nel tempo può variare da paziente a paziente, andando a coprire intervalli fino a vent’anni nei casi di decorso più lento.
«La prima, chiamata prodromica», ha proseguito Padoan, «è caratterizzata da uno stato di infiammazione alle alte e alle basse vie respiratorie e si manifesta con asma e rinite allergica, a volte accompagnate da poliposi nasale.
Nella fase successiva eosinofila, domina questa componente in cui i valori medi di eosinofilia sono generalmente pari o superiori a 1.500 cellule per microlitro di sangue, oppure superiori al 10% del totale dei leucociti, a fronte di valori di riferimento normali tra 0 e 500 cellule per microlitro, con conseguente pericoloso accumulo nei tessuti. In questo stadio anche gli ANCA possono entrare in azione e creare danni.
La terza fase è detta vasculitica e determina un interessamento sistemico con il coinvolgimento di più organi, in primis il polmone, reni, cuore e intestino; in quest’ultimo caso l’addensamento degli eosinofili provoca dei micro-infarti mandando in necrosi le parti che non ricevono più il sangue.
A volte vengono interessati più organi contemporaneamente e può capitare che la vasculite colpisca anche il sistema nervoso, con perdita di sensibilità o di mobilità dei muscoli.
Infine, le fasi della malattia possono non presentarsi in ordine consequenziale, ma manifestarsi in modo sovrapposto. Ogni paziente è un caso a sé: in alcuni la malattia insorge e segue una evoluzione da manuale, in altri invece l’EGPA esordisce con tutti i sintomi contemporaneamente presentando quadri esclusivi.
Oggi, poi, abbiamo capito che l’EGPA tende a cambiare faccia, cioè a manifestarsi sempre meno come vasculite e sempre più come patologia eosinofilica. Buona parte delle recidive, infatti, sono rappresentate da riacutizzazioni asmatiche, rinosinusite importante e eventualmente infiltrato d’organo sempre mediato dagli eosinofili. Si stima che la recidiva vasculitica, quindi con una neuropatia periferica, possa presentarsi solo in 1/5 dei pazienti in follow-up».
La terapia
Per anni il trattamento di EGPA si è basato sull’uso di steroidi e di cortisone, inizialmente ad alte dosi (1 mg/kg/die di prednisone), poi a scalare. Con pazienti che necessitavano spesso di una dose quotidiana medio-alta di cortisone per anni continuativamente.
A questi venivamo associati i classici immunosoppressori, soprattutto ciclofosfamide e più recentemente retuximab nelle fasi più iniziali di malattia, con proseguimento in generale con immunosoppressore convenzionale per anni.
Questo trattamento standard spegneva la prima fase più severa di malattia, portando tuttavia a un quadro cronico recidivante in 50-70% di casi, con recidive prettamente respiratorie o sistemiche, anche severe, nonostante la terapia standard.
L’introduzione di mepolizumab
Anticorpo monoclonale anti IL-5, ha rappresentato una rivoluzione nella gestione di pazienti con EGPA in quanto agisce in maniera molto selettiva la via eosinofilica, sul target specifico IL-5, favorendo il controllo della malattia, riducendo le recidive, quindi con minor ricorso a cortisone.
«La sicurezza del farmaco, garantita dall’elevata affinità solo per IL-5, è supportata dall’efficacia nel mantenere spenta la malattia nel corso del tempo con sensibile miglioramento della qualità di vita del paziente, pari quasi a quella pre-diagnosi di EGPA, o con una piccola quota di danno residuale dalla fase vasculitica ma che tende ad arrestarsi e non più progredire nel corso degli anni.
Mepolizumab», ha concluso Padoan, «è somministrato per iniezione sottocutanea, tre fiale da 100 mg ciascuna, ogni quattro settimane, in somministrazione autogestita dal paziente grazie a pennette predosate, altamente sicure.
Il farmaco è impiegato nelle fasi più cronico recidivanti della malattia, che rappresentano anche il cluster di pazienti più ampiamente studiato nel trial registrativo MIRRA, dopo una prima fase in cui la malattia è stata spenta da cortisone associato a immunosoppressore convenzionale, alla comparsa di riacutizzazioni o recidive respiratorie, rinosinusali ed eosinofiliche.
Lo studio MIRRA mostra come a ventiquattro settimane oltre la metà dei pazienti in cura con mepolizumab fosse in remissione di malattia e la riduzione significativa di corticosteroidi orali necessari per mantenere la malattia sotto controllo. Un risultato confermato dallo studio MARS che ha valutato la sicurezza e l’efficacia a lungo termine.
Ancora dopo quattro anni di trattamento si è osservata una significativa riduzione mediana dei corticosteroidi orali, un controllo dei sintomi e nessun evento avverso correlato al farmaco».
Prossimo obiettivo è studiare se sia possibile intervenire con mepolizumab in fase più precoce, magari già in associazione con la terapia standard e ridurre ancora più significativamente l’accumulo di esosinofili a livello del torrente circolatorio.
«L’auspicio», ha concluso Volk Schroeder, «è arrivare a una somministrazione ogni sei mesi, solo due trattamenti all’anno, rispetto a quello mensile attuale».
Bibliografia
- Wechsler ME, Akuthota P, Jayne D et al. Mepolizumab or Placebo for Eosinophilic Granulomatosis with Polyangiitis | New England Journal of Medicine. N Engl J Med, 2017, Vol. 376, No. 20, 376:1921-1932. Doi: 10.1056/NEJMoa1702079
- Ishii T, Kunishige H, Kobayashi T et al. Real-world safety and effectiveness of mepolizumab for patients with eosinophilic granulomatosis with polyangiitis in Japan: A 48-week interim analysis of the MARS study. Mod Rheumatol, 2024 Aug 20;34(5):978-987. Doi: 10.1093/mr/road109