Negli anziani con insufficienza cardiaca in fase iniziale, il diabete non controllato può aumentare il rischio di progressione della malattia? È la domanda dalla quale sono partiti i ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, per condurre il loro studio.
Lo studio di base Aric
Gli specialisti hanno anzitutto raccolto i dati a partire dallo studio Atherosclerosis risk in communities (Aric), un’ampia ricerca tuttora in corso finanziata dal National Institutes of Health e mirata a esaminare le conseguenze dell’aterosclerosi nelle comunità.
In particolare, tale analisi ha originariamente reclutato 15.792 partecipanti tra il 1987 e il 1989, che negli anni seguenti sono stati sottoposti a varie visite e, dal 2012, hanno ricevuto telefonate ogni sei mesi o ogni anno per monitorare il loro stato di salute.
Quasi cinquemila partecipanti
La base per il lavoro dei ricercatori della Johns Hopkins è stata la quinta visita di Aric, condotta tra il 2011 e il 2013 su 6.538 pazienti. Tra questi, ne sono stati selezionati 4.774, di cui il 58% donne e il 42% uomini, con un’età media di 75,4 anni.
Tutti presentavano insufficienza cardiaca preclinica, erano cioè allo stadio A oppure B secondo la definizione dall’American Heart Association e dall’American College of Cardiology.
Nel primo stadio, che si riferisce alla presenza di almeno un fattore di rischio di insufficienza cardiaca, come ipertensione o obesità, senza cardiopatia strutturale, rientravano 1.551 (32,5%) pazienti.
Nel secondo, che identifica la presenza di una cardiopatia strutturale o di biomarcatori cardiaci elevati senza sintomi di insufficienza cardiaca, 3.223 (67,5%) partecipanti.
La malattia del cuore peggiora
I risultati hanno evidenziato che il diabete non controllato era associato al peggioramento dell’insufficienza cardiaca per i partecipanti sia allo stadio A, sia a quello B. In particolare, gli assistiti allo stadio A avevano una probabilità 1,5 volte maggiore di progredire verso un’insufficienza cardiaca conclamata, mentre quelli allo stadio B avevano una probabilità di 1,8 volte superiore.
Inoltre, tra i pazienti allo stadio B, quelli con diabete non controllato hanno manifestato insufficienza cardiaca in età più giovane (80 anni) rispetto a quelli con diabete controllato (83 anni) o senza diabete (82 anni).
L’analisi prosegue
«I risultati dimostrano la vulnerabilità degli anziani con diabete e insufficienza cardiaca di stadio A o B», evidenzia Justin Echouffo Tcheugui, professore associato di medicina alla Johns Hopkins University e primo autore dello studio.
«Questi pazienti possono trarre grandi benefici dalle terapie preventive, tra cui la modificazione dello stile di vita e i farmaci. Considerando che ci sono da tre a quattro volte più individui con insufficienza cardiaca preclinica che con insufficienza cardiaca conclamata, molte vite possono essere prolungate affrontando il diabete nelle prime fasi in cui si manifesta la patologia del cuore».
Il gruppo di ricerca ha in programma di proseguire l’indagine per chiarire perché il diabete abbia un effetto sui pazienti con insufficienza cardiaca preclinica.
«Sappiamo che queste due patologie sono altamente diffuse e fortemente correlate», conclude Echouffo Tcheugui, «ma il nostro è il primo studio a valutare il loro rapporto in questa chiave specifica. Perciò vogliamo continuare a studiare tale relazione».
Paola Arosio