Nel contesto della sanità privata accreditata, la figura del farmacista ospedaliero evolve verso un ruolo che integra valutazioni tecnologiche, sostenibilità economica e gestione del rischio clinico. Lo conferma l’esperienza di Federica Pieri, che all’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano guida un modello operativo avanzato fondato su HTA, personalizzazione terapeutica e multidisciplinarità.

Nel contesto dell’assistenza sanitaria erogata da strutture accreditate di diritto privato il farmacista ospedaliero ha un ruolo cruciale, dal punto di vista clinico e di governo strategico di risorse e processi.

Tale ruolo si amplifica in realtà particolarmente complesse nelle quali, pur rispettando gli standard qualitativi di accreditamento previsti per le strutture pubbliche, l’allocazione delle risorse umane e strumentali è spesso più contenuta. Questa asimmetria impone una visione organizzativa avanzata e un approccio metodologico improntato a prevenzione, efficienza operativa e appropriatezza terapeutica.

Federica Pieri, responsabile dell’UO di Farmacia Ospedaliera dell’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano

Un esempio è l’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano, dove responsabile dell’Unità Operativa di Farmacia Ospedaliera è la dott.ssa Federica Pieri.
«Siamo un ospedale privato accreditato in cui la Farmacia Ospedaliera è strutturata in linea con i dettami regionali.
L’organico è composto da tre farmacisti per sedici piani, seicento posti letto e trentadue sale operatorie, il che ci obbliga ad adottare una logica gestionale fortemente anticipatoria e ad alta specializzazione».

Modello operativo basato su tre pilastri

L’esigenza di garantire una presa in carico del paziente personalizzata e tempestiva, pur in un quadro di risorse contenute, si è tradotta nello sviluppo di un modello operativo strutturato, basato su tre pilastri: identificazione precoce dei fabbisogni clinici dei reparti, analisi sistematica e comparativa dell’offerta di tecnologie sanitarie disponibile sul mercato e definizione di percorsi decisionali fondati su strumenti avanzati di management, in particolare valutazioni HTA.

«Abbiamo elaborato percorsi decisionali che ci permettono di selezionare il dispositivo medico più appropriato per ciascun profilo clinico in relazione alla reale stratificazione del paziente: comorbilità, stato nutrizionale, vulnerabilità vascolare ecc.».

Uno degli ambiti d’applicazione più emblematici di questo modello è la gestione delle medicazioni avanzate, dispositivi medici ad alto contenuto tecnologico il cui impiego richiede una competenza trasversale tra clinica, farmacologia, wound care e gestione del rischio.

In ambienti ospedalieri ad alta complessità, le medicazioni avanzate non sono semplice componente della terapia locale, bensì interventi attivi capaci di modulare il microambiente lesionale, contrastare l’infezione (biofilm inclusi), regolare l’essudato e ottimizzare i processi riparativi tissutali.

«L’approccio non è mai casuale: partiamo da un’analisi clinica della lesione e del paziente e scegliamo in modo mirato la medicazione avanzata più adeguata. Ciò permette di migliorare l’outcome clinico e ridurre i costi correlati alle complicanze».

Non solo fornitura di dispositivi

La Farmacia Ospedaliera non si limita alla fornitura di dispositivi ma funge da regia tecnico-scientifica che abbraccia l’intero ciclo di vita della tecnologia sanitaria: dalla valutazione preliminare all’inserimento in prontuario, fino al monitoraggio degli esiti clinici e alla revisione periodica dei protocolli.

L’implementazione di tale assetto è stata consentita dalla profonda integrazione interprofessionale in cui il farmacista opera in sinergia con clinici, chirurghi, personale infermieristico specializzato e unità di controllo del rischio.

«Ogni decisione è il risultato del confronto tra competenze: il farmacista conosce le tecnologie, il clinico le condizioni fisiopatologiche, l’infermiere l’evoluzione pratica della ferita. Insieme garantiamo appropriatezza e sostenibilità».

La struttura ha adottato un modello di farmacista ospedaliero a forte vocazione clinico-manageriale, che unisce evidence based practice e sostenibilità economica, operando come filtro critico tra offerta tecnologica e bisogni del paziente.

«Il punto di partenza è il paziente. Ne analizziamo i bisogni clinici, valutiamo l’efficacia delle tecnologie disponibili misurandone l’impatto economico e prendiamo decisioni tese a ottenere il miglior risultato terapeutico al minor costo, sempre secondo appropriatezza».

Rischio medio di complicanze postoperatorie

Uno degli snodi fondamentali nell’elaborazione delle strategie clinico-organizzative è la valutazione del rischio medio di complicanze postoperatorie, stimato attraverso l’attenta revisione della letteratura scientifica e il confronto con i dati disponibili in altri ospedali con pari casistica.

Tale processo si è rivelato essenziale per quantificare e giustificare l’uso mirato di tecnologie sanitarie ad alto valore aggiunto.

«Abbiamo valutato il tasso medio d’incidenza di queste complicanze, si verifica una complicanza ogni 20 interventi, quindi un’incidenza del 5% circa: può sembrare contenuta ma ha un impatto considerevole sull’ecosistema ospedaliero».

In un sistema in cui sono numerose le procedure chirurgiche, anche una percentuale in apparenza modesta di complicanze si traduce in un carico assistenziale significativo, con ripercussioni su durata della degenza, uso di risorse umane e materiali e farmaci ad alto costo (in particolare, antibiotici di ultima generazione) e, soprattutto, su qualità di vita e sicurezza del paziente. In questo scenario le medicazioni avanzate sono strumenti ad alto valore clinico e strategico.

Medicazioni avanzate nel wound care

«Sono uno dei cardini dell’innovazione tecnologica nel wound care: sono strumenti attivi, progettati per modulare il microambiente della ferita, contrastare i biofilm, prevenire l’infezione, gestire l’essudato e accelerare il processo fisiologico di guarigione».

In base al tipo di ferita, del grado di rischio infettivo e del profilo clinico del paziente, si selezionano dispositivi specifici che agiscono in fase preventiva e terapeutica.
La scelta della medicazione più adatta è il risultato di una valutazione multidisciplinare che coinvolge farmacisti ospedalieri, chirurghi, infermieri esperti in wound care e microbiologi.

«Non c’è una medicazione avanzata standard valida per ogni situazione. Ogni ferita ha una sua dinamica biologica, ogni paziente ha un suo profilo clinico. Ci basiamo su stratificazione del rischio ed evidenza scientifica, orientando in modo mirato l’uso delle medicazioni avanzate».

L’impiego precoce di medicazioni ad alta tecnologia è correlata alla riduzione dell’incidenza delle infezioni del sito chirurgico, della deiscenza chirurgica e del tempo di guarigione. In particolare, nei pazienti sottoposti a interventi complessi di cardiochirurgia e ortopedia, l’uso preventivo di medicazioni ad alto assorbimento e ad azione antimicrobica consente di evitare complicanze che, una volta insorte, richiederebbero trattamenti antibiotici sistemici prolungati e possibili reinterventi chirurgici.

Vantaggi economici

«Abbiamo osservato che l’uso precoce e mirato di medicazioni avanzate nei pazienti ad alto rischio (es. obesi, diabetici, immunodepressi) ha ridotto drasticamente le infezioni del sito chirurgico. Questo non è solo un dato clinico, ma un risultato economico e gestionale rilevante».

A supporto di queste osservazioni, la struttura ha avviato valutazioni HTA locali (mini-HTA) per ogni tecnologia introdotta. Con approccio quantitativo basato sul modello Hospital Performance Index, in collaborazione con Direzione Amministrativa e management sanitario, la Farmacia Ospedaliera ha analizzato con periodicità l’impatto delle tecnologie su paziente, outcome clinico e bilancio economico dell’ospedale.

Ogni euro investito in prevenzione deve dimostrare capacità di generare risparmi multipli in termini di giornate di degenza evitate, riduzione delle infezioni, contenimento dell’uso di antibiotici e riduzione del carico di lavoro del personale. Tali valutazioni hanno portato a un’analisi approfondita di costi evitabili, sostenibilità organizzativa e impatto sul DRG. Ogni giorno in più di degenza può costare alla struttura 500-700 euro.

Una complicanza infettiva può comportare un costo aggiuntivo compreso di 7.000-8.000 euro, includendo estensione del ricovero, uso di farmaci (antibiotici, in primis), dispositivi, analisi di laboratorio e intensificazione dell’assistenza infermieristica.

«Le medicazioni avanzate hanno diversi impatti economici, ma se usate sul paziente giusto, al momento giusto e nella modalità corretta (riservando le più costose ai pazienti più fragili, considerati ad alto rischio) non sono un costo ma un investimento. Un giorno di degenza risparmiato ha un valore di circa 500 euro.

In un paziente ad alto rischio si può investire in tecnologie avanzate, evitando complicanze che altrimenti comporterebbero degenze prolungate, uso di antibiotici e intensificazione della gestione infermieristica. Si ha così un risultato strategico sia per il paziente sia per l’ospedale».

Le medicazioni attive e passive, con principi attivi o tecnologie che contrastano i biofilm batterici, sono un esempio emblematico. I biofilm, strutture polimeriche protettive prodotte dalle comunità microbiche, rendono inefficaci molte terapie antibiotiche tradizionali. Per questo, la selezione di medicazioni con azione meccanica di rimozione del biofilm o con capacità di captazione batterica è strategica nella riduzione dell’uso improprio di antibiotici e nel contrasto alla diffusione di resistenze.

«Quando una ferita è biofilmata, anche gli antibiotici sistemici più potenti possono risultare inefficaci. Servono tecnologie che agiscono direttamente sul sito, riducono la carica batterica ed evitano lo sviluppo di resistenze».

Fondamentale l’aggiornamento continuo

Insieme all’adozione delle tecnologie, la farmacia ospedaliera cura l’aggiornamento continuo del personale sanitario. Gli infermieri vulnologi devono essere formati su uso corretto dei dispositivi, valutazione clinica della lesione, gestione del cambio delle medicazioni e riconoscimento dei segni precoci d’infezione o degenerazione tissutale.

«Ogni figura clinica va aggiornata sulle tecnologie e sull’interpretazione clinica della loro efficacia. Il monitoraggio è continuo. Se un protocollo non dà i risultati attesi lo aggiorniamo, lo miglioriamo o lo sostituiamo».

Pieri cita il caso del protocollo cardiochirurgico per le sternotomie, attivo da quasi un anno: mediante stratificazione del rischio e uso selettivo delle tecnologie avanzate, il tasso di complicanze chirurgiche è stato ridotto a zero nel periodo osservato.

«Il cardiochirurgo che ha collaborato con noi ha confermato che con il protocollo in vigore non si sono più verificate problematiche postoperatorie. Questo risultato è frutto del lavoro integrato, della valutazione preventiva e della scelta appropriata delle tecnologie».

Un ostacolo strutturale alla piena ottimizzazione del sistema è la mancanza di un database condiviso per il monitoraggio post dimissione dei pazienti. Molte infezioni del sito chirurgico si manifestano anche mesi dopo l’intervento, rendendo complessa la tracciabilità dell’evento.

«Le infezioni tardive, che si presentano anche a un anno di distanza, non sono registrate da nessun sistema. Eppure, i pazienti con protesi infette arrivano da tutta Italia. Servirebbe una rete nazionale di sorveglianza postoperatoria».

Un ruolo ibrido

Nel contesto attuale la Farmacia Ospedaliera assume un ruolo ibrido, al crocevia tra clinica, gestione del rischio, economia sanitaria e governance tecnologica.

«Il farmacista ospedaliero ha un ruolo clinico e manageriale, con la responsabilità di garantire appropriatezza terapeutica e sostenibilità economica. Ogni decisione parte dal paziente, ma deve tenere conto dell’ecosistema ospedaliero».
Questa visione olistica, in cui la tecnologia è strumento e non fine, è il fondamento dell’evoluzione dei modelli assistenziali.