Studiato per contrastare la fibrillazione atriale, il farmaco riduce la mortalità per tutte le cause, l’ictus ischemico e i sanguinamenti maggiori.
Durante il congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC) sono stati presentati i dati a quattro anni di follow-up dell’assunzione del farmaco edoxaban, anticoagulante orale non antagonista della vitamina K (NOAC) somministrato a pazienti con fibrillazione atriale (AF).
Lo studio corrispondente è l’ETNA-AF Europe, che coinvolge 13.164 pazienti afferenti a dieci Paesi europei, trattati con 30 mg o 60 mg di edoxaban: dopo 4 anni, appunto, il tasso annualizzato di mortalità per tutte le cause è del 4,1%, mentre quello di mortalità cardiovascolare è dell’1%.
Da sottolineare che i tassi risultano maggiori nella coorte trattata con solo 30 mg, rispetto ai 60 mg, differenza che si registra anche per tassi di sanguinamento maggiore (0,9% l’anno) e sanguinamento gastrointestinale maggiore (0,4% l’anno).
Simili, invece, nei due gruppi gli esiti per altri tassi annualizzati: quello per ictus (0,6%), attacco ischemico transitorio (0,3%), eventi embolitici sistemici (0,1%), emorragia intracranica (0,2% l’anno).
Da sottolineare che spesso i pazienti trattati con 30 mg di farmaco sono anche anziani, e quindi più fragili, il che può spiegare la ragione delle differenze di esito tra i due dosaggi per alcuni outcome.
«I dati ETNA-AF a quattro anni rafforzano ancora una volta il beneficio clinico dell’uso dei NOAC nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, in particolare in quelli in cui è necessario gestire con attenzione anche comorbilità come diabete, scompenso cardiaco o fragilità, e ciò rappresenta un’ulteriore rassicurazione per la nostra pratica clinica», ha dichiarato Raffaele De Caterina, professore di Cardiologia presso l’Università di Pisa e direttore della Divisione di Cardiologia Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.
Studi su pazienti con aritmie non ancora conclamate in FA
Durante il Congresso sono stati presentati anche i risultati dello studio clinico NOAH-AFNET 6 che indaga la sicurezza e l’efficacia della terapia orale anticoagulante in pazienti con episodi ad alta frequenza atriale (AHRE) ma senza FA documentata.
Si tratta di un Investigator Initiated Study (IIS) che ha arruolato 2,536 pazienti per un periodo medio di 21 mesi: 1270 in terapia con edoxaban e gli altri con un placebo. Si è visto, in questo caso, che il farmaco non migliora gli outcome di questi soggetti, aumentando invece i sanguinamenti.
Si conferma dunque l’importanza di seguire le indicazioni approvate. Inoltre, le evidenze dello studio NOAH-AFNET 6 sottolinea sia la necessità di una documentazione ECG della fibrillazione atriale prima di iniziare il trattamento anticoagulante in questi pazienti sia il bisogno di ulteriori ricerche volte a comprendere meglio il rischio di ictus insito nell’AHRE.
In arrivo nuovi studi per meglio caratterizzare il trattamento dei fragili con FA
Molti dei pazienti con FA sono anziani o soggetti fragili, con comorbidità. Per questo è importante caratterizzare al meglio il trattamento. A tal fine, sono stati pensati degli studi ad hoc che partono da ETN-AF: uno sulla persistenza del trattamento con edoxaban in pazienti con FA; una sotto-analisi sulle caratteristiche demografiche e cliniche per capire se possano essere predittivi di esiti avversi.
Altri studi sono: una sotto-analisi di ENVISAGE-TAVI AF nella quale si valutano gli esiti di una stratificazione dei pazienti in terapia con anticoagulante orale in termini di riduzione della dose e all’età avanzata; analisi integrata di parametri di outcome in pazienti con FA che assumono edoxoban contro un altro antagonista della vitamina K.