Collaborazione tra farmacista e infettivologo per erogare la terapia giusta al paziente giusto

La lotta all’HIV rappresenta una sfida di carattere mondiale. La Strategia Globale AIDS 2021-2026 mira a debellare l’AIDS entro il 2030, come stabilito dagli Obiettivi ONU per uno Sviluppo Sostenibile.

Abbiamo approfondito questo tema con la dott.ssa Edvige Quitadamo, dirigente farmacista presso la Struttura Complessa di Farmacia del Policlinico Ospedali Riuniti di Foggia.

Edvige Quitadamo

Quali sono gli obiettivi salienti dalla Strategia Globale AIDS 2021-2026?

“Uno tra tutti è il target 95-95-95, che prevede anzitutto che il 95% delle persone con HIV sia reso consapevole del proprio stato sierologico. Inoltre, richiede di assicurare il pieno accesso ai trattamenti al 95% di chi si scopre positivo al virus.

Non ultimo, questo punto prevede che il 95% di chi è in trattamento raggiunga la soppressione virologica e quindi la condizione di non infettività.

Tra i target più ambiziosi, vi è altresì la riduzione a meno del 10% dello stigma e della discriminazione collegati all’infezione, le disuguaglianze di genere, le leggi e le politiche punitive tuttora vigenti in molti Paesi.

Un dato incoraggiante è che il rapporto ECDC colloca l’Italia tra i Paesi europei con i migliori risultati raggiunti, in tal senso”.

In che modo gli interventi sul piano sociale possono influire sull’aderenza terapeutica?

“Il piano strategico globale fissa anche obiettivi che esaltano la natura sociale degli interventi, affidando i servizi di testing e i programmi di prevenzione per le fasce demografiche e per tutti i gruppi di popolazione più vulnerabili (detenuti, lavoratori del sesso, rifugiati, migranti, tossicodipendenti…) alla mediazione di community guidate da persone delle stesse popolazioni chiave.

Secondo una importante metanalisi (Ford et al. 2018), l’inizio rapido della terapia antiretrovirale Rapid-ART dopo non più di 14 giorni dalla diagnosi garantisce una maggiore retention in care dei pazienti e un tasso più elevato di soppressione virologica a 12 mesi. L’instaurarsi di un rapporto stabile e fiduciario tra paziente e team di cura rappresenta la conditio sine qua non per l’aderenza alla terapia antiretrovirale, che a sua volta innesca una cascata di eventi favorevoli: aumento della probabilità di successo virologico, conseguente controllo della diffusione dell’infezione, risparmio di risorse sanitarie comprese le ospedalizzazioni.

Bisogna fare pertanto molta attenzione a quelli che vengono individuati come i predittori di scarsa retention in care (uso di sostanze, nati all’estero, età inferiore ai 40 anni) e adottare di conseguenza interventi mirati; si è pensato, per esempio, al coinvolgimento dei cosiddetti “patient navigator”, operatori che aiutano la persona con HIV a districarsi fra le maglie dei servizi sanitari fungendo da facilitatori dell’avvicinamento attraverso un approccio anche multiculturale e multilingue”.

Un esempio in tal senso è il progetto Patient’s Journey della SIMIT, vuole parlarcene?

“Il progetto interdisciplinare Patient’s Journey avviato tempo addietro dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), prevedeva una mappatura del percorso assistenziale vissuto dalla persona affetta da HIV in modo da seguire il paziente a partire dal contesto in cui vive e per tutto il percorso di cura. Una mappa nella quale sono individuati gli snodi decisionali che s’incontrano lungo il percorso e le figure professionali coinvolte, che sono: infettivologi, farmacisti, medici di base, infermieri, psicologi, assistenti sociali. L’aspetto più innovativo dell’approccio alla cura è rappresentato dal coinvolgimento dei pazienti nella definizione del contesto di cura, focalizzando l’attenzione sulle condizioni in cui egli vive in modo da favorire al massimo grado l’aderenza alla terapia”.

Quali sono i vantaggi e i limiti dell’approccio terapeutico HAART?

“La terapia antiretrovirale da anni si basa sulla prescrizione di farmaci con target molecolari diversi che agiscono su momenti diversi della replicazione virale (inibitori della trascriptasi inversa, della proteasi, dell’integrasi, della fusione) o che sullo stesso bersaglio agiscono con meccanismo d’azione diverso e sinergico (inibitori nucleosidici/nucleotidici e inibitori non nucleosidici/nucleotidici della trascriptasi inversa). Questo approccio terapeutico, definito di alta efficacia (HAART, highly active antiretroviral therapy), ha prodotto una drastica riduzione della morbilità e della mortalità per infezione da HIV. Tuttavia, le terapie a oggi disponibili non consentono l’eradicazione del virus e per questo devono essere proseguite a tempo indefinito per evitare che il virus si riattivi”.

Di qui l’aspetto della cronicità di questa infezione…

“Un altro importante aspetto è che l’infezione da HIV, proprio grazie all’efficacia delle terapie antiretrovirali, ha assunto le caratteristiche di una patologia cronica con allungamento dell’aspettativa di vita quasi sovrapponibile alla popolazione non-HIV. Questo miglioramento prognostico ha creato nuove sfide, tra cui quella di riuscire a coniugare gli effetti di una efficace terapia antiretrovirale con molteplici fattori, quali invecchiamento, comorbilità, prevenzione di danni d’organo, interazioni farmacologiche, scarsa compliance”.

Quali sono le criticità che emergono nella gestione dell’infezione da HIV?

“Le criticità che si riscontrano nella gestione dell’infezione dell’HIV sono molteplici: dalla necessità di un trattamento regolare alle morbidità e mortalità residue dovute soprattutto al ritardo nella diagnosi e alla scarsa compliance alla terapia. Dalle difficoltà psicologiche e sociali legate alla condizione di sieropositività agli ingenti costi a carico del SSN. Inoltre, anche i medici di Medicina Generale devono essere sempre più competenti riguardo ad aspetti quali le interazioni con altri farmaci e gli effetti indesiderati, che con l’età del paziente diventano sempre più frequenti.

Per queste ragioni, anche senza che si verifichi fallimento virologico, con il tempo può rendersi necessario modificare la terapia antiretrovirale”.

Da alcuni anni vi è orientamento alla semplificazione terapeutica. Quali finalità ha e in che modo favorisce la compliance?

“La semplificazione terapeutica ha l’obiettivo di ridurre il pill burden (ossia il numero delle compresse da assumere), migliorare la safety, rendere l’assunzione più comoda e ridurre la necessità di controlli frequenti.

Il primo passo verso la semplificazione è stato l’introduzione dei regimi a singola compressa contenente più principi attivi, approccio che semplifica l’assunzione della terapia concentrandola in un solo momento della giornata, con conseguenti innegabili vantaggi in termini di potenziamento della compliance terapeutica e quindi diminuzione del rischio di fallimento e miglioramento della qualità della vita.

A oggi, circa l’80% dei pazienti assume una sola compressa al giorno.

Un ulteriore passo verso la semplificazione è rappresentato dalla dual therapy, ossia la sostituzione del regime terapeutico basato su tre principi attivi con un regime a due principi attivi. Quest’ultimo approccio, che offre il vantaggio di un minor carico farmacologico e quindi una riduzione degli effetti collaterali e delle interazioni tra farmaci, tuttavia, può risultare totalmente efficace nel controllo della replicazione virale solo su setting selezionati di pazienti.

Appare chiaro, quindi, come in tema di HIV sia molto importante potere fruire di una terapia personalizzata, cucita addosso a ciascun paziente, la cosiddetta medicina di precisione che tiene conto della variabilità individuale a livello di caratteristiche genetiche, ambientali e stili di vita”.

Quali sono le novità farmacologiche di frontiera in questo campo?

“Sono già in uso farmaci che, al paziente debitamente selezionato, offrono il vantaggio di una somministrazione intramuscolare da effettuarsi in regime ambulatoriale ogni due mesi. Questa opzione terapeutica rappresenta una nuova frontiera della terapia in quanto riesce ad abbattere il muro della somministrazione orale domiciliare giornaliera, modalità che spesso espone il paziente a stigma e mancata aderenza.

Le prossime novità in tema di terapia antiretrovirale riguardano anche l’aspetto farmacologico, con principi attivi che mirano a nuovi target molecolari (si pensi agli inibitori del capside che attaccano il ciclo replicativo dell’HIV in tre punti distinti, impedendone la replicazione), cui si aggiunge il vantaggio della somministrazione sottocutanea addirittura ogni sei mesi”.

Qual è il valore della collaborazione tra infettivologo e farmacista?

“La collaborazione tra infettivologo e farmacista è imprescindibile affinché siano messe a disposizione tutte le opzioni terapeutiche adatte al singolo caso.

Ad aiutare nella scelta del farmaco giusto al paziente giusto contribuisce la ricerca scientifica, che offre continue novità sia dal punto di vista farmaceutico, con formulazioni iniettabili a lunga durata d’azione, sia dal punto di vista farmacologico, con principi attivi che esplicano nuovi meccanismi d’azione.

Il dialogo tra farmacista e infettivologo diventa imprescindibile lì dove, a seconda dei vari setting terapeutici (paziente naive, paziente soppresso, paziente in fallimento virologico, gravidanza, profilassi pre e post esposizione) si renda necessario comprendere e condividere le scelte prescrittive mediando tra migliore cura e più efficace gestione delle risorse economiche.

Il feedback tra farmacista e prescrittore rimane costante e indispensabile e si attua attraverso audit che spesso coinvolgono anche le Direzioni strategiche ospedaliere, attraverso l’adesione a procedure di gara per l’acquisizione dei farmaci generici da sostituire con quelli a brevetto scaduto, attraverso il monitoraggio delle prescrizioni, la reportistica periodica dei dati di consumo.

Tutte queste azioni concorrono a incentivare la prescrizione dei farmaci con il migliore rapporto costo-efficacia e a ottimizzare le ingenti risorse stanziate.

Come da un punto di vista farmacodinamico l’inattivazione dell’HIV si compie mirando a target e momenti diversi della replicazione virale, così, macroscopicamente, la lotta stessa all’infezione non può prescindere da un approccio multidisciplinare che veda coinvolti attori diversi che a vario titolo e a vari livelli agiscano in maniera sinergica ognuno per le proprie competenze”.

E qui emergono due criticità, tra loro connesse: la spesa pubblica e l’appropriatezza prescrittiva.

“I farmaci antiretrovirali rappresentano un importante capitolo di spesa per la sanità pubblica: in Italia si spendono oltre 600 milioni di euro/anno. Proprio per questo è mandatorio esigere la massima attenzione in termini di appropriatezza prescrittiva.

Come riporta l’ultimo Rapporto OsMed 2022, l’andamento generale sull’utilizzo degli antiretrovirali riflette un uso in linea con le linee guida nazionali e internazionali, indicando l’ottima azione della strategia di gestione dell’infezione da HIV. Tra l’altro la Puglia è la Regione che in Italia ha registrato il maggior decremento in termini di spesa rispetto all’anno precedente (-10%).

L’approccio al tema HIV, ovviamente, non può limitarsi ai dati di spesa: in questo campo il risparmio può non coincidere con l’ottimale utilizzo delle risorse in quanto vige l’equazione U=U, Undetectable = Untrasmittable e quindi solo le strategie terapeutiche che concorrono alla riduzione della carica virale nella popolazione possono rendere il virus non trasmissibile e innescare, così, un circolo virtuoso anche in termini di decremento della spesa sanitaria.

In definitiva, se la strada per l’eradicazione dell’infezione dell’HIV appare ancora lontana, così come quella per un vaccino preventivo, si procede a grandi passi verso terapie sempre più efficaci, meno tossiche e che impattano sempre meno sulla quotidianità”.

Quali scenari futuri intravede in questo campo?

“Se la formulazione di un vero e proprio vaccino anti-HIV appare ancora una chimera, meno fantasiosa sembrerebbe l’idea di ricorrere alle prossime formulazioni a lunga durata d’azione per avviare programmi di profilassi pre-esposizione mirate alle popolazioni più a rischio.

Tra gli scenari futuri mi piace pensare anche alla terapia genica e di come i ricercatori, proprio sfruttando la capacità del virus dell’HIV di inserirsi stabilmente nel DNA della cellula ospite, fattore che a tutt’oggi costituisce il maggiore ostacolo alla terapia, se ne siano avvalsi per costruire vettori virali da utilizzare per nuove strategie terapeutiche rivolte a malattie genetiche rare… insomma l’HIV che si trasforma da virus mortale a farmaco di precisione”.