La cannabis prescritta per contrastare il dolore cronico risulta associata a un aumentato rischio di aritmie. Lo sostiene una recente ricerca presentata al congresso dell’European society of cardiology (Esc), che si è tenuto a Barcellona, in Spagna, dal 26 al 29 agosto 2022.
«Il dolore cronico è un problema in aumento», ha affermato Nina Nouhravesh, ricercatrice del dipartimento di Cardiologia dell’ospedale universitario di Gentofte, a Copenhagen, in Danimarca, e autrice dello studio. «Secondo le autorità sanitarie danesi, nel 2000 gli adulti di età superiore ai 16 anni con dolore cronico erano il 19%, nel 2017 il 29%.
Nel nostro Paese l’uso medico della cannabis è stato approvato nel gennaio del 2018 su base sperimentale, il che significa che i medici possono prescriverla per il dolore cronico quando tutti gli altri trattamenti, compresi gli oppioidi, si sono rivelati insufficienti.
Tuttavia, i dati riguardanti la sicurezza sono ancora scarsi. Dato che in precedenza sono state riscontrate aritmie nei consumatori di cannabis a scopo ricreativo, il nostro studio si è concentrato sugli effetti collaterali cardiovascolari della cannabis terapeutica e in particolare sulle aritmie».
Uno studio su 1,6 milioni di pazienti
La cannabis medica è disponibile in varie formulazioni a seconda dei livelli di tetraidrocannabinolo (Thc) e cannabidiolo (Cbd). In Danimarca possono essere prescritti dronabinol (alto livello di Thc), cannabinoidi (più Thc che Cbd), cannabidiolo (alto livello di Cbd).
In questo scenario, i ricercatori hanno identificato, tra il 2018 e il 2021, 1,6 milioni di pazienti con diagnosi di dolore cronico.
L’età media era di 60 anni, il 63% erano donne e il 37% uomini. Circa il 17,8% di loro aveva il cancro, il 17,1% artrite, il 14,9% mal di schiena, il 9,8% malattie neurologiche, il 4,4% cefalea, il 3% fratture complicate e il restante 33,1% altre diagnosi (perlopiù dolore cronico non specificato).
Di questi, 4.931 (0,31%) hanno ricevuto almeno una prescrizione di cannabis (il 29% dronabinol, il 46% cannabinoidi, il 25% cannabidiolo).
Ciascuno di loro è stato abbinato, tenendo conto di età, sesso e origine del dolore, a cinque non utilizzatori con dolore cronico che fungevano da controllo. Tutti i partecipanti sono stati monitorati per 180 giorni, con l’obiettivo di confrontare il rischio di insorgenza di nuovi disturbi cardiovascolari in utilizzatori e non utilizzatori.
Importante monitorare gli effetti collaterali
Al termine della ricerca è emerso che il rischio assoluto di aritmia era dello 0,86% nei consumatori di cannabis medica e dello 0,49% nei non consumatori, con un rischio relativo di 1,74, mentre i rischi di sindrome coronarica acuta e di insufficienza cardiaca non differivano tra i due gruppi.
I risultati sono stati simili per ogni condizione di dolore cronico e per ogni tipo di cannabis.
«Il nostro studio ha rilevato che i consumatori di cannabis medica avevano un rischio di aritmie più elevato del 74% rispetto ai non consumatori», ha commentato Nouhravesh.
«Tuttavia, la differenza in termini di rischio assoluto si è rivelata modesta. Va anche precisato che una percentuale maggiore di pazienti nel gruppo degli utilizzatori di cannabis rispetto a quello di controllo stava assumendo altri antidolorifici, in particolare farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), oppioidi, antiepilettici, e non si può, quindi, escludere che la più elevata probabilità di aritmie dipenda da ciò».
La ricercatrice ha concluso: «Dato che la cannabis è un farmaco relativamente nuovo, è importante indagare e segnalare gli eventuali effetti collaterali, affinché sia i medici sia i pazienti abbiano quante più informazioni possibili per valutare vantaggi e svantaggi del trattamento».
Paola Arosio