Con l’avvento della pandemia il paziente cronico è stato il primo a incontrare ritardi e disservizi. I pazienti con malattie reumatologiche (6 milioni in Italia) con l’avvento del Covid hanno abbandonato le cure nel 20% dei casi; il 74% delle visite sono state cancellate.
Occorre ripensare con il PNRR un nuovo modello assistenziale, rilanciando il piano nazionale cronicità, implementando la telemedicina e puntando a una maggiore presenza di presidi territoriali e farmaceutici con un metodo nuovo di dispensazione e prescrizione di farmaci innovativi.
La pandemia da Covid-19 ha sparigliato le carte, mostrando da una parte la grande resistenza e resilienza del nostro servizio sanitario, mettendo in luce al contempo anche le grandi criticità esistenti nella gestione delle patologie croniche, di cui le malattie reumatologiche rappresentano una fetta importante.
Difatti, in Italia a fronte di un numero complessivo di 24 milioni di pazienti cronici, 6 milioni sono i pazienti che soffrono di malattie reumatologiche. Di questi, 800 mila sono i più gravi, cioè quelli a rischio di disabilità grave e morte precoce. 400 mila i pazienti affetti da artrite reumatoide. Di fronte a numeri così imponenti, un gruppo multidisciplinare di esperti ha riflettuto sulle opportunità di rilancio del SSN nel post-Covid.
Il documento scaturito è stato portato all’attenzione dei parlamentari ed in primo luogo dell’Onorevole Fabiola Bologna e della senatrice Paola Boldrini che hanno voluto promuovere un confronto su queste proposte che si è tenuto lo scorso 3 maggio a Roma.
Le principali criticità emerse
«La riflessione è partita dalla considerazione di molteplici criticità», hanno evidenziato il prof. Mauro Galeazzi, coordinatore del gruppo di esperti, insieme a Silvia Tonolo, presidente dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici, e ad Antonella Celano, presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare.
«In primo luogo: il limitato coordinamento da parte del Ministero della Salute nei confronti delle Regioni durante la crisi pandemica, le differenze regionali nel recepire il Piano Nazionale Cronicità, la mancata realizzazione dei PDTA nelle malattie reumatologiche infiammatorie e autoimmuni in alcune Regioni, così come del Fascicolo Sanitario Elettronico se non in rari casi.
Inoltre, la gestione dei pazienti non acuti negli ospedali che prolunga le liste d’attesa, la mancanza di formazione, ma anche di semplice informazione, da parte dei medici di medicina generale e dei farmacisti che ritarda la presa in carico del paziente e le diagnosi, la dispensazione di molti farmaci per patologie croniche solo in ospedale. Infine, la limitata formazione e le carenze, dal punto di vista digitale, di numerose strutture sanitarie che limitano il ricorso alla telemedicina e la risposta ai bisogni dei pazienti drammaticamente differenziata da Regione a Regione e da ASL ad ASL nella stessa Regione».
Criticità alle quali in tempo di pandemia hanno cercato di fornire risposte le associazioni di pazienti, ma che necessitano, per effetti a lungo termine, di una riorganizzazione gestionale del servizio sanitario nazionale.
Con l’avvento del Covid, i pazienti cronici hanno riscontrato problemi sia di accesso ai servizi sanitari, alle diagnosi, spesso ritardate, ma anche per i controlli e le liste di attesa. Con le risorse del PNRR è importante rilanciare il SSN, a partire dalla medicina del territorio, grazie alle Case di Comunità, telemedicina e adeguati PDTA che siano in grado di seguire il paziente in tutto il suo iter terapeutico assistenziale.
Artrite reumatoide: dati e costi
L’artrite reumatoide è una patologia cronica che, in assenza di una tempestiva diagnosi e di trattamenti specifici, può ridurre l’aspettativa di vita dei pazienti anche di dieci anni, oltre a determinare una significativa perdita di giornate lavorative, costi sanitari ma anche, più in generale, una perdita del Pil nazionale.
In questa ottica, Francesco Saverio Mennini, presidente della Società Italiana di Health Technology Assessment (Sihta), ha suggerito un potenziamento del piano nazionale cronicità che si focalizzi su: un buon funzionamento delle reti, una continuità assistenziale, un ingresso precoce del paziente nell’iter assistenziale, un potenziamento delle cure domiciliari che consentano un miglioramento della qualità di vita unitamente a un risparmio di risorse per il SSN, un modello assistenziale centrato sul paziente e, infine, un potenziamento della digitalizzazione in grado di favorire un miglioramento della qualità dell’assistenza.
«Il 70-80% delle risorse sanitarie a livello globale, e non solo italiano, vengono spese per malattie croniche che richiedono una continuità di trattamenti. Se da una parte occorre ridurre i costi diretti, dall’altra non vanno dimenticati quelli indiretti, in termini di disabilità, perdita di produttività e morte prematura», ha ricordato Mennini.
Ogni anno le risorse necessarie a far fronte all’artrite reumatoide sono stimate – forse sottostimate – in oltre 2 miliardi di euro così ripartiti: 45% di costi sanitari diretti, pari a circa 930 milioni di euro; 200 milioni di euro a carico del cittadino, cioè costi out of pocket, 900milioni di costi indiretti, pari al 75% di perdita di produttività e 250 milioni di euro a carico dell’INPS.
Tutto questo determina quindi non solo costi sanitari, ma importanti perdite a livello di Prodotto interno lordo.
«L’obiettivo è ridurre le voci di spesa offrendo ai pazienti trattamenti farmacologici adeguati e un modello di presa in carico diverso che possa contare anche sulle opportunità offerte dalla telemedicina»,” ha chiarito il presidente Sitha.
L’importanza delle nuove tecnologie
Su questo ultimo punto, Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’ISS, ha illustrato come nuovi sistemi di telemedicina possano contribuire alla decentralizzazione della medicina e al potenziamento della sanità territoriale (raggiungendo anche le aree più lontane dai centri urbani del Paese), purché siano riconosciuti nei LEA.
Inoltre, Gabbrielli ha sottolineato la necessaria rivalutazione del Fascicolo Sanitario Elettronico, digitalizzando i dati perché siano interoperabili e possano creare un database la cui struttura sia omogenea. Va ricordato, infatti, che oggi i dati di un paziente non sono leggibili e quindi utilizzabili da Regione a Regione.
Un nuovo ruolo per MMG e farmacista
Medico di medicina generale e farmacista rappresentano le prime figure di riferimento per il cittadino-paziente e, pertanto, i punti cardine per dare attuazione al Piano Nazionale Cronicità.
Come previsto dal DM 71, il ruolo del Medico di Medicina Generale e del Farmacista devono cambiare.
«Per dare attuazione al Piano nazionale cronicità, risulta indispensabile dare maggior forza assistenziale alla medicina di famiglia dotando tutti gli studi medici di personale amministrativo e di operatori socioassistenziali, passando dalla logica dei PDTA a quella dei PAI (piani assistenziali individuali) ha affermato Fiorenzo Corti, vicesegretario generale Federazione Italiana Medici di Medicina Generale.
La telemedicina deve vedere il suo punto di forza nelle case dei pazienti fragili, diffondendo le attività di telemonitoraggio domiciliare già operative sul territorio».
Daiana Taddeo, dell’Area Ricerca Nazionale Società Italiana di Medicina Generale e Cure Primarie, ha sottolineato l’importanza di una revisione del processo di formazione del medico: in un momento di cambiamento generazionale, il medico di medicina generale deve essere reso parte integrante del sistema. Altrettanto dicasi per il farmacista, che soprattutto in pandemia è risultato cruciale.
Achille Gallina Toschi, presidente di Federfarma Emilia-Romagna, ha evidenziato come questa figura potrebbe contribuire a individuare precocemente le patologie o per l’aderenza terapeutica.
«Inoltre, grazie ai nuovi sistemi di telemedicina, la farmacia territoriale potrebbe assumere per alcune patologie un ruolo ulteriore nell’agevolare e supportare la terapia domiciliare».
Ripensare la dispensazione per andare incontro al cittadino
Benché la prescrivibilità di farmaci innovativi rimanga appannaggio dei medici specialisti, sarebbe opportuno, per andare incontro alle esigenze dei cittadini, creare una rete territoriale che leghi ospedale, strutture territoriali, specialisti e medico di medicina generale.
«Per i farmaci innovativi sarebbe quindi utile modificare l’assetto di dispensazione così da agevolare il paziente nel ritiro del farmaco», ha dichiarato Roberto Gerli, presidente Società Italiana di Reumatologia.
Anche l’industria farmaceutica può contribuire a migliorare la gestione del paziente cronico.
«Desideriamo supportare un nuovo disegno nella gestione della cronicità sul territorio aiutando e facilitando, laddove possibile, il dialogo fra gli stakeholders e il confronto fra idee e modelli di lavoro perché il nostro Sistema Sanitario sia sempre più preparato a sostenere i bisogni di cura dei pazienti, anche nell’emergenza», ha affermato Iole Cucinotto, senior medical director di Galapagos Italia.
«Ecco perché abbiamo voluto sostenere l’iniziativa della realizzazione di un documento di proposte che gli esperti e le associazioni pazienti hanno portato all’attenzione delle istituzioni».
Elena D’Alessandri