Quando un farmaco viene immesso in commercio non sempre porta, nella popolazione dei pazienti che lo utilizzano, gli stessi esiti dimostrati negli studi clinici.
In ambito real world esistono fattori che possono inficiare gli effetti di un farmaco: la facilità/difficoltà di assunzione, per esempio, può incidere sull’aderenza terapeutica, così come gli effetti collaterali, ma anche la qualità dei diversi sistemi ospedalieri può avere un ruolo. Da qui l’esigenza, sempre più sentita, di condurre studi real life che indaghino gli effetti di un farmaco su popolazioni specifiche e nella vita di tutti i giorni.
Rientra in questa categoria il lavoro di un team svedese composto da ricercatori universitari e dell’azienda Novartis. Il focus era verificare l’efficacia nel mondo reale della combinazione di valsartan e sacubitril, inibitore della neprilisina noto come ARNI, con classe 1 di raccomandazione nelle linee guida per il trattamento di soggetti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta o moderatamente ridotta, inferiore al 50%.
Il farmaco viene confrontato con l’efficacia nella stessa popolazione di pazienti di farmaci appartenenti alla categoria ACEi/ARB. Lo studio, in particolare, si focalizza sugli effetti ottenuti dalle due terapie su tutte le cause di morte, sulle cause di morte legate ai problemi cardiovascolari e sulla ospedalizzazione per scompenso cardiaco.
I pazienti coinvolti sono stati selezionati a partire dal Registro Nazionale Svedese dello Scompenso Cardiaco, istituito nel 2001 e attivo dal 2003, anno dal quale tiene conto di tutti i pazienti svedesi con scompenso cardiaco, dei trattamenti ai quali sono sottoposti, del decorso di patologia ecc.
Gli autori hanno individuato 23.321 pazienti con le caratteristiche adeguate a essere inseriti nello studio. Di questi, 18.143 sono stati trattati con farmaci ACEi/ARB e 5178 con ARNI. Dopo i controlli, gli autori hanno identificato i due gruppi di lavoro: 17.108 nel gruppo ACEi/ARB e 1506 in quello ARNI.
Poiché questa metodologia di trattamento dello scompenso cardiaco è stata introdotta da pochi anni, circa tre quarti dei pazienti inseriti nel gruppo ARNI erano stati precedentemente trattati con altri farmaci, inclusi gli ACEi/ARB.
Le analisi successive hanno permesso di confermare che l’uso di ARNI consente di ridurre sensibilmente la mortalità per tutte le cause della popolazione coinvolta, anche nel mondo reale, arrivando a una riduzione del 23%. E questo nonostante la popolazione osservata nello studio sia mediamente più anziana e con più comorbidità rispetto a quella inserita nello studio multinazionale PARADIGM-HF, i cui risultati hanno permesso l’approvazione della combinazione stessa.
Gli autori non riescono, però, a ottenere esiti significativi per la mortalità per cause cardiovascolari, probabilmente perché, come spiegano nella discussione, i pazienti coinvolti nello studio hanno ricevuto ottimi percorsi terapeutici.
Inoltre, è possibile che il risultato sia dovuto a problemi legati ai codici di malattia.
Anche per quanto riguarda l’ultimo dato analizzato, ovvero il tasso di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, lo studio non riesce a dimostrare differenze tra le due classi di farmaci. Non è chiaro se ciò dipenda dai diversi protocolli terapeutici seguiti per i due farmaci o da altro.
Lo studio conferma, quindi, la bontà di ARNI anche in real life in Svezia nel ridurre tutte le cause di morte, ma non gli altri due parametri. Sarebbero utili ulteriori studi real world.
(Lo studio: Fu, M., Pivodic, A., Käck, O. et al. Real-world comparative effectiveness of ARNI versus ACEi/ARB in HF with reduced or mildly reduced ejection fraction. Clin Res Cardiol (2022). https://doi.org/10.1007/s00392-022-02124-w)
Stefania Somaré