Nelle strutture ospedaliere il farmacista può occuparsi anche dell’educazione dei pazienti al corretto uso dei farmaci.
Nel caso degli anticoagulanti, per esempio, è importante dare indicazioni rispetto al maggior rischio di sanguinamento associato.
Chiedendosi se questa attività paghi davvero, un’équipe libanese afferente a un ospedale universitario di terzo livello ha condotto uno studio randomizzato su 200 pazienti che necessitavano di terapia anticoagulante, suddividendoli in due gruppi, uno di studio e uno di controllo (Karaoui LR, Ramia E, Mansour H, Haddad N, Chamoun N. Impact of pharmacist-conducted anticoagulation patient education and telephone follow-up on transitions of care: a randomized controlled trial. BMC Health Serv Res. 2021 Feb 16;21(1):151. doi: 10.1186/s12913-021-06156-2. PMID: 33593336).
I pazienti del primo gruppo sono stati informati dal farmacista in aggiunta alla consulenza medica.
Entrambi i gruppi sono stati chiamati per un follow-up telefonico a 3 e 30 giorni dopo le dimissioni.
Gli autori volevano anzitutto valutare il tasso di riammissione in ospedale e la frequenza di eventi di sanguinamento nel primo mese a casa.
Lo studio non ha messo in evidenza una particolare utilità della consulenza farmaceutica sugli esiti clinici, nel senso che questa non ha influito sul tasso di riammissione né sulla frequenza di sanguinamento.
Tuttavia, gli autori si sono accorti che questa consulenza ha migliorato la comunicazione tra paziente e medici curanti nei primi giorni dopo la dimissione: un vantaggio da non sottovalutare.
Stefania Somaré