Dapagliflozin, un medicinale tradizionalmente prescritto per il diabete, è risultato utile anche per contrastare lo scompenso cardiaco.
Su questa molecola, appartenente alla classe degli inibitori dei trasportatori sodio-glucosio di tipo 2 (Sodium-glucose cotransporter inhibitors, Sglt-i), noti anche come glifozine, il Centro Cardiologico Monzino di Milano ha avviato un nuovo studio, autonomo e indipendente.
La sperimentazione prevede di arruolare almeno 70 pazienti, effettuando, per la prima volta, una valutazione multidisciplinare completa, che include esami del sangue con biomarker di nuova generazione, test da sforzo cardiopolmonare, prove di funzionalità respiratoria, analisi del sonno con rilevazione delle apnee notturne, ecocardiografia tridimensionale.
I dati raccolti permetteranno di fare il punto sulla terapia, allo scopo di valutare tutti i potenziali benefici del farmaco e comprenderne meglio i meccanismi d’azione.
Mortalità in calo
«Nella nostra struttura in tre mesi abbiamo prescritto dapagliflozin a 150 pazienti con scompenso cardiaco, indipendentemente dal diabete, e abbiamo redatto il primo piano terapeutico in Lombardia», annuncia Massimo Mapelli, collaboratore del Dipartimento di Cardiologia critica e riabilitativa dell’ospedale Monzino e coordinatore dello studio, al quale partecipano anche le ricercatrici Fabiana De Martino, Anna Garlaschè, Valentina Mantegazza, Irene Mattavelli e Elisabetta Salvioni.
Un trattamento che ha consentito di raggiungere risultati positivi, come conferma Piergiuseppe Agostoni, direttore del Dipartimento di Cardiologia critica e riabilitativa, oltre che professore ordinario di Malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Milano:
«L’avvento delle glifozine, che si sono aggiunte agli altri farmaci impiegati contro lo scompenso, ovvero betabloccanti, anti-aldosteronici, sacubitril-valsartan, ha modificato le linee guida.
Se il trattamento viene iniziato precocemente, queste molecole permettono, infatti, di trattare efficacemente gli assistiti, ottenendo una riduzione della mortalità.
Non siamo mai stati così tanto vicini a “curare” lo scompenso, una malattia che negli stadi avanzati ha una percentuale di decessi paragonabile a quella di molti tumori».
Anche funzione diuretica
Migliore prognosi dello scompenso, quindi, ma non solo. Come hanno evidenziato i ricercatori del Monzino, questi farmaci sono anche diuretici “intelligenti” che, se somministrati per tempo, rallentano la progressione dell’insufficienza renale e permettono di ridurre i diuretici tradizionali.
«Dalla nostra nuova ricerca, ci aspettiamo nuove prospettive di applicazione della molecola», conclude Mapelli, «e soprattutto speranze concrete per i pazienti».
Paola Arosio