CAR-T, il ruolo fondamentale del farmacista ospedaliero

Approfondiamo con Emanuela Omodeo Salé, a capo delle Farmacie Ospedaliere dell'Istituto Europeo di Oncologia e dell'Istituto Cardiologico Monzino di Milano e direttore scientifico di Farmacia Ospedaliera, l'importante ruolo che i farmacisti ospedalieri sono chiamati a svolgere per garantire il corretto e puntuale finanziamento dell'intero ciclo di vita delle terapie CAR-T.

Si conclude con questo articolo il progetto di divulgazione e informazione avviato in giugno con l’obiettivo di approfondire alcuni temi caldi che nei prossimi anni potrebbero rivelarsi sempre più fondamentali per la corretta gestione del percorso Brain-to-Vein (BtV) del paziente attraverso le terapie CAR-T.

Con Enrico Derenzini, direttore della Divisione di Oncoematologia e Trapianto di cellule staminali dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, abbiamo visto come utilizzare le evidenze real world per la selezione, il monitoraggio e il follow-up dei pazienti.

Il viaggio Brain-to-Vein all’interno della terapia è stato approfondito con l’oncoematologa del Policlinico Gemelli di Roma Federica Sora e il direttore della Farmacia ospedaliera del medesimo Policlinico, Marcello Pani.

Abbiamo poi affrontato il tema della sostenibilità economica delle terapie CAR-T e dei nuovi modelli di accesso insieme a Claudio Jommi, docente di Management dell’Università del Piemonte Orientale e professore di Practice of Health Policy presso la SDA Bocconi di Milano. 

Infine, in questa intervista nel video Emanuela Omodeo Salè, direttrice delle Farmacie Ospedaliere dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Irccs Centro Cardiologico Monzino di Milano e coordinatrice del progetto, approfondisce gli aspetti organizzativi relativi alle farmacie ospedaliere e trae un bilancio dell’impatto che l’approccio innovativo rappresentato dalle terapie CAR-T ha avuto sull’efficacia delle terapie antitumorali e sull’organizzazione che gli ospedali devono mettere in atto per erogarle.

Un fronte, quest’ultimo, che vede in prima linea anche i farmacisti ospedalieri, chiamati a organizzare e monitorare il buon funzionamento dell’intera supply chain delle terapie CAR-T, dall’invio dei materiali di leucaferesi ottenuti dai pazienti ai siti preposti alla loro ingegnerizzazione, al ricevimento della terapia genica personalizzata, alla sua conservazione e dispensazione finale ai reparti clinici.

Qual è il primo bilancio che si può trarre riguardo a questo tipo di approccio innovativo alla cura dei tumori?

«Il primo bilancio è complessivamente molto positivo, ma ancora in fase di consolidamento. Dal punto di vista clinico, le terapie CAR-T hanno dimostrato di trasformare la prognosi in specifiche neoplasie oncoematologiche (come il linfoma diffuso a grandi cellule B, alcuni casi di leucemia linfoblastica acuta e linfoma follicolare), con tassi di risposta e di sopravvivenza che nei trial e in real life hanno mostrato benefici significativi rispetto alle opzioni precedenti.

Tuttavia, l’introduzione di queste terapie su scala nazionale ha messo in luce alcune criticità organizzative, economiche e di accesso: la produzione e la logistica delle CAR-T richiedono strutture e processi complessi (laboratori autorizzati, percorsi di trasporto e catene del freddo, equipe multidisciplinari dedicate).
La gestione degli eventi avversi (CRS, neurotossicità) impone percorsi assistenziali ad alta specializzazione, i costi sono molto elevati.
Queste dimensioni rendono necessaria una rete di centri autorizzati e sistemi di monitoraggio e governance robusti.

Dal punto di vista dell’accessibilità, i dati real world in Italia mostrano che non tutti i pazienti potenzialmente eleggibili hanno potuto accedere al trattamento.
Un’analisi nazionale riferita al 2020 evidenzia che meno di un paziente eleggibile su cinque (sulla base dei criteri EMA) è stata effettivamente trattata con CAR-T [1].
Questo riflette la presenza di alcune barriere, legate ai criteri di selezione, al numero ancora limitato di centri autorizzati sul territorio nazionale e alla conseguente necessità, per alcuni pazienti, di spostarsi anche a lunga distanza per ricevere la terapia, oltre ai processi autorizzativi regionali.
In questo senso, il bilancio clinico resta molto positivo, ma rimane la necessità di lavorare ulteriormente per garantire equità d’accesso e sostenibilità a livello di sistema».

Esistono strumenti utili a delineare la situazione attuale dei centri autorizzati nelle varie regioni italiane?

«Per avere un quadro aggiornato e affidabile dei centri autorizzati in Italia ci si può avvalere di diversi strumenti complementari.
In primo luogo, Aifa mette a disposizione un elenco ufficiale delle strutture abilitate alla somministrazione delle CAR-T, che viene aggiornato periodicamente e che rappresenta la fonte normativa di riferimento per le autorizzazioni e per la gestione dei registri dei pazienti. Questo consente d’identificare rapidamente i centri autorizzati a trattare specifiche indicazioni terapeutiche.

A questo si aggiungono i documenti regionali e i percorsi diagnostico-terapeutici definiti dalle singole Regioni, che dettagliano le modalità operative e la rete hub&spoke, ovvero l’organizzazione dei centri specializzati principali e dei centri territoriali che collaborano per segnalare i pazienti e supportare il follow-up. 

In Italia i centri autorizzati alla somministrazione di CAR-T sono attualmente quarantaquattro, con una distribuzione ancora eterogenea: la maggior parte si concentra nelle Regioni del Nord, mentre al Centro e soprattutto al Sud l’offerta è più limitata, con conseguenti disparità di accesso.
In Lombardia la presenza di più centri ad alta specializzazione, tra cui alcune strutture di eccellenza a Milano, ha permesso di sviluppare una casistica rilevante e diventare una Regione di riferimento per volumi trattati, anche se ciò non basta a colmare le differenze con altre aree del Paese. 

Proprio per questo Sifo sottolinea la necessità di rafforzare la rete nazionale, promuovere la trasparenza sugli elenchi e uniformare la capacità operativa dei centri, così da garantire equità di accesso ai pazienti indipendentemente dalla loro regione di residenza».

Quali sono le attività relative a somministrazione delle terapie CAR-T e al follow-up dei pazienti che impattano direttamente sulle farmacie ospedaliere e come vengono gestite?

«Le farmacie ospedaliere hanno un ruolo cruciale in tutte le fasi che riguardano la gestione delle terapie CAR-T, dalla somministrazione al follow-up dei pazienti. Si tratta, infatti, di medicinali per terapie avanzate che richiedono competenze altamente specialistiche, sia per la loro natura biologica sia per le modalità di manipolazione e conservazione.

In primo luogo, il farmacista ospedaliero è responsabile della gestione logistica: le cellule raccolte dal paziente devono essere inviate a laboratori autorizzati per la produzione, quindi riaccettate in ospedale al termine del processo produttivo. Questo percorso implica una catena del freddo molto rigorosa, controlli di qualità, verifiche documentali e la tracciabilità completa del prodotto, attività che ricadono sotto la supervisione della farmacia. 

Un secondo aspetto riguarda la fase di somministrazione: il farmacista collabora con l’équipe clinica per la programmazione del trattamento, la verifica della corretta dispensazione e la gestione di farmaci di supporto necessari durante la fase di infusione, per esempio tocilizumab o corticosteroidi per il trattamento delle tossicità più frequenti, come la sindrome da rilascio di citochine o le neurotossicità.
Questo richiede non solo disponibilità immediata dei farmaci salvavita, ma anche un coordinamento stretto con i clinici e le terapie intensive.

Infine, il farmacista è coinvolto nella fase di follow-up, che in Italia assume particolare rilevanza perché le CAR-T sono sottoposte a registri Aifa di monitoraggio, indispensabili per valutare gli esiti clinici e la sicurezza a lungo termine e per attivare i meccanismi di rimborso basati sui risultati.

La farmacia ospedaliera gestisce l’inserimento e l’aggiornamento dei dati nei registri, garantendo accuratezza e continuità nella raccolta delle informazioni. Inoltre, contribuisce alla farmacovigilanza e alla formazione dei pazienti e dei caregiver sull’importanza del monitoraggio post trattamento.

In sintesi, le farmacie ospedaliere non sono solo il punto di passaggio tecnico del farmaco, ma rappresentano un nodo centrale nella rete assistenziale: presidiano la sicurezza del processo, assicurano la disponibilità di terapie concomitanti e garantiscono che i dati raccolti possano essere utilizzati a livello nazionale per valutare efficacia, sicurezza e sostenibilità di questo approccio innovativo.

Oltre all’impatto organizzativo, va sottolineato che le terapie CAR-T comportano anche un significativo impatto economico: i costi associati alla produzione, al trasporto, alla gestione dei farmaci di supporto e al monitoraggio post infusione richiedono una pianificazione attenta delle risorse da parte delle farmacie ospedaliere, così da garantire la sostenibilità del trattamento».

Quali sono le criticità che le stesse hanno dovuto affrontare per la messa a punto dei team multidisciplinari che si occupano della predisposizione e somministrazione delle terapie e dei processi a tale scopo necessari?

«La complessità di questi trattamenti richiede una stretta collaborazione tra farmacisti, ematologi, oncologi, infermieri specializzati, anestesisti e personale delle terapie intensive, oltre al supporto dei laboratori autorizzati per la produzione delle cellule. Organizzare un team così articolato ha comportato sfide logistiche e organizzative in termini sia di disponibilità di personale formato sia di coordinamento tra le diverse figure professionali.

Un altro aspetto critico riguarda la standardizzazione dei processi: le CAR-T richiedono procedure rigorose per la raccolta, il trasporto, la manipolazione e l’infusione del prodotto, oltre a protocolli per la gestione delle tossicità acute.
Le farmacie ospedaliere hanno dovuto sviluppare procedure operative interne, linee guida locali e sistemi di tracciabilità per garantire che tutti i passaggi rispettassero gli standard di sicurezza e qualità. Tuttavia, è auspicabile che tale standardizzazione sia uniforme in tutti i centri autorizzati e che sia supportata da reti formative specifiche e organiche sul territorio, in modo che tutto il personale coinvolto sappia gestire correttamente questo tipo di terapie.  

La formazione del personale rappresenta una sfida continua: è necessario aggiornare costantemente professionisti diversi sulle novità scientifiche, sui requisiti normativi, sulla gestione dei registri Aifa e sulle strategie di farmacovigilanza.
Tutte queste attività comportano anche un impatto economico significativo: la creazione e il mantenimento dei team multidisciplinari, le risorse necessarie per la formazione e la gestione dei processi complessi richiedono una pianificazione accurata dei costi».

Alla luce dell’esperienza fatta, che conclusioni si possono trarre sulla collaborazione tra gli hub di trattamento autorizzati e gli ospedali territoriali che segnalano i casi di potenziale interesse, quali sono le criticità aperte e come potrebbero venire superate?

«Le principali criticità riguardano referral non uniformi e gap formativi, che possono rallentare l’identificazione dei casi e la preparazione al trattamento. Per migliorare la rete, sono utili Pdta condivisi, piattaforme digitali per lo scambio dei dati, strumenti digitali per i consulti a distanza e programmi di formazione congiunti, così che tutto il personale conosca protocolli, criteri di eleggibilità e gestione delle tossicità.

La letteratura sottolinea, inoltre, l’importanza di ridurre i rischi legati alla perdita di elegibilità del paziente e quindi dei costi della terapia: ciò si ottiene monitorando le complicanze da deplezione linfocitaria, eseguendo esami di screening per prevenire fallimenti, attivando protocolli di profilassi durante l’attesa e riducendo il tempo tra prelievo e reinfusione delle cellule.
Con questi accorgimenti, la collaborazione tra hub e spoke può diventare una rete integrata, garantendo sicurezza, efficacia e ottimizzazione delle risorse impiegate».

Le pipeline sono ricche di molte nuove terapie CAR-T, alcune delle quali vicine all’approvazione. Dal punto di vista del farmacista ospedaliero, quali sono gli aspetti organizzativi da considerare per ottimizzare la loro preparazione, in riferimento a procedure che nel tempo potrebbero diventare sempre più numerose e complesse?

«Guardando alle nuove terapie CAR-T in arrivo, il ruolo del farmacista ospedaliero diventa ancora più strategico. È fondamentale sviluppare procedure operative standardizzate ma flessibili, in grado di adattarsi a prodotti diversi e sempre più complessi, e potenziare la tracciabilità elettronica per garantire sicurezza e conformità normativa. La gestione logistica deve prevedere strutture adeguate per la conservazione delle sacche, oltre a un coordinamento efficiente con laboratori e centri di produzione. 

Parallelamente, è essenziale pianificare programmi di formazione continua e simulazioni operative, cosicché tutto il personale coinvolto conosca i protocolli, sappia gestire le tossicità e possa rispondere rapidamente a eventuali criticità. L’obiettivo è ottimizzare la preparazione e la somministrazione dei trattamenti, mantenendo elevati standard di sicurezza ed efficacia anche quando il numero e la complessità delle terapie CAR-T cresceranno nel tempo, garantendo al contempo sostenibilità organizzativa ed economica per il centro ospedaliero.

Ovviamente le CAR-T non rappresentano l’unica novità terapeutica nel trattamento di questo tipo di tumori ematologici. Gli anticorpi bispecifici, per esempio, già impiegati in terza linea di terapia, offrono ulteriori opzioni per i pazienti. In questo contesto, un punto cruciale rimane l’identificazione accurata dei pazienti eleggibili, così da poter selezionare il trattamento più appropriato e ottimizzare sia i risultati clinici sia l’uso delle risorse disponibili.

In conclusione, le terapie CAR-T rappresentano una grande opportunità terapeutica e il ruolo del farmacista ospedaliero a supporto della programmazione economico finanziaria sarà sempre più cruciale.
Anche in questo ambito servirebbe standardizzare le buone pratiche che tutti i farmacisti (e più in generale i CAR-T team) devono seguire per ottimizzare l’uso delle risorse e non lasciare pazienti eleggibili indietro».

Fonti

1. Jommi C, Bramanti S, Pani M, Ghirardini A, Santoro A. “CAR T-Cell Therapies in Italy: Patient Access Barriers and Recommendations for Health System Solutions”. Front Pharmacol. 2022;13:915342. Published 2022 Jun 23. doi:10.3389/fphar.2022.915342

realizzato con il contributo non condizionante di Gilead

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