Pazienti non ancora protagonisti della farmacovigilanza

I pazienti dovrebbero avere voce in capitolo sugli effetti collaterali dei farmaci. Eppure, alla prova dei fatti, ciò non accade. Lo evidenzia un recente studio condotto dal Patient Safety Council, un gruppo che riunisce cinque associazioni, ovvero Associazione italiana sclerosi multipla (Aism), Associazione malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Amici), Federazione delle associazioni emofilici (Fedemo), La lampada di Aladino, Women against lung cancer in Europe (Walce).

Queste ultime hanno coinvolto 1.368 assistiti (1.082 affetti da patologie infiammatorie croniche intestinali, 138 da sclerosi multipla, 129 dal cancro, 19 da disordini congeniti della coagulazione) in un’indagine sulla farmacovigilanza, tramite un questionario composto da dieci domande focalizzate su tre cluster: livello di conoscenza della farmacovigilanza, comportamento riguardante la segnalazione di eventi avversi, interesse a ricevere maggiori informazioni sul tema.

I risultati dell’indagine

Per quanto riguarda il primo cluster, il 50% dei partecipanti ha dichiarato di essere poco informato sulla farmacovigilanza, il 23% di non esserlo affatto e solo il 3% di avere qualche conoscenza in proposito. Il 60% dei rispondenti ha, inoltre, affermato di non avere mai ricevuto informazioni sull’argomento.

«L’indagine ha confermato la mancanza di un’adeguata informazione da parte delle fonti scientifiche e istituzionali, anche nel caso di pazienti affetti da malattie croniche severe, che richiedono complessi regimi terapeutici», hanno stigmatizzato gli estensori dello studio.

A proposito del secondo cluster, è emerso che la maggior parte dei pazienti (74%) ha sperimentato reazioni avverse ai medicinali. Di questi, il 46% ha riferito i sintomi allo specialista e il 18% al medico di medicina generale, mentre il 35% non li ha mai comunicati. Solo l’11% era a conoscenza del fatto di poter comunicare gli eventi avversi direttamente all’autorità competente (di questi, il 6% aveva ricevuto l’informazione da materiale informativo, il 3% da internet, il 2% dallo specialista).

La principale fonte di informazione sulle reazioni indesiderate è il foglietto illustrativo (55%), seguito da domande rivolte allo specialista (21%), mentre meno usati risultano internet e il colloquio con il medico di medicina generale.

«Non segnalare in modo adeguato gli effetti avversi rappresenta una perdita di utili informazioni per la sicurezza e il benessere del paziente», fanno notare i ricercatori.

Per quanto concerne, infine, il terzo cluster, l’ampia maggioranza dei partecipanti (82%) afferma che vorrebbe ricevere informazioni sulla farmacovigilanza dalle associazioni dei pazienti. Tra le modalità informative più gradite, siti internet (48%), brochure (19%), app (17%), tutorial online (12%).

Il ruolo delle associazioni

Nell’articolo si sottolinea che «un’attiva collaborazione tra associazioni dei pazienti, autorità regolatorie, professionisti sanitari e aziende farmaceutiche può incrementare la conoscenza della materia, facendo in modo che i pazienti rilevino e riferiscano in modo adeguato le reazioni avverse. In particolare, centrale appare il ruolo delle associazioni nel processo di farmacovigilanza, indispensabile anche per aumentare l’aderenza alla terapia e, quindi, il successo del trattamento».

Paola Arosio