Epilessia farmacoresistente tra terapie palliative e chirurgia

L’epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse nel mondo, dove colpisce 60 milioni di persone. Per questo l’OMS l’ha riconosciuta come malattia sociale. In Italia, ogni anno si verificano 86 nuovi casi nel primo anno di vita, 20-30 nell’età giovanile/adulta e 180 dopo i 75 anni.

Nel 30% dei casi, le persone che soffrono di epilessia risultano farmacoresistenti, una condizione che si manifesta quando almeno due farmaci anticrisi appropriati e ben tollerati, non controllano le crisi.

È Laura Tassi, presidente LICE e neurologo presso la chirurgia dell’epilessia e del Parkinson del Niguarda di Milano a specificare che, nel caso i farmaci, pur somministrati alla massima dose possibile e per un lasso di tempo adeguato, in monoterapia o in associazione ad altri medicinali, non fossero efficaci, si possono valutare approcci alterativi.

L’epilessia, dunque, anche in caso di farmacoresistenza si può trattare, essendo questa ultima condizione non irreversibile e nemmeno definitiva.

Oriano Mecarelli, past president LICE sottolinea come talvolta, si possano ricontrare, farmacoresistenza falsa o pseudo-farmacoresistenza, situazioni dovute a “un’errata diagnosi di epilessia, a una scelta inadeguata del farmaco e/o delle sue dosi, a una diagnosi non corretta dal punto di vista sindromico, o ad una scarsa regolarità nell’assunzione della terapia da parte del soggetto”.

Secondo la Guida alle Epilessie 2023, si stima che la terapia chirurgica, proponibile in almeno il 15-20% dei casi dei pazienti con epilessia farmacoresistente, offra un beneficio: nel 70% si ottiene un ottimo risultato in termini di risoluzione delle crisi e, quindi, di qualità di vita.

Tuttavia, non sempre è possibile intervenire chirurgicamente rimuovendo la regione cerebrale responsabile della crisi, la cosiddetta zona epilettogena. Ogni anno, in tutta Italia, sono effettuati non più di 300 interventi neurochirurgici specifici a fronte di migliaia di pazienti che potrebbero beneficiarne.

Un ampliamento e potenziamento dei centri per la chirurgia dell’epilessia potrebbe ridurre i tempi di attesa per accedere alla terapia chirurgica.

Nel caso di pazienti con epilessia farmacoresistente non operabili a causa di elevato rischio di danni neurologici, è possibile ricorrere a terapie palliative come la stimolazione vagale – l’invio al nervo vago di stimoli elettrici, tramite un generatore di impulsi posizionato sottocute a livello della clavicola, attraverso un elettrodo applicato chirurgicamente – la deep brain stimulation (DBS) – l’impianto di elettrodi in diverse regioni cerebrali in grado di modulare e modificare l’attività epilettica – e la dieta chetogenica – si basa un regime nutrizionale contenente un’elevata percentuale di grassi e una ridotta quota di proteine e carboidrati e ha dimostrato di migliorare il controllo delle crisi nelle persone con epilessia.