Le evidenze real world sono sempre più al centro dei nuovi modelli di sviluppo clinico basati sulle popolazioni reali di pazienti che si incontrano nella normale pratica clinica. 
Nel campo delle terapie CAR-T questo approccio può risultare particolarmente utile per la gestione ottimale delle tossicità, spiega Enrico Derenzini, direttore della Divisione di Oncoematologia e Trapianto di cellule staminali dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
Con 113 studi condotti a partire dal 2021, di cui una sessantina realizzati da parte del consorzio europeo DARWIN EU e un’altra trentina svolti in-house dall’Agenzia Europea dei Medicinali, le evidenze real world a supporto delle decisioni regolatorie – sia in fase pre approvazione sia nel monitoraggio post marketing – vanno assumendo un ruolo sempre più di prospettiva nel modernizzare e accelerare gli studi clinici.
I dati raccolti nella normale pratica clinica grazie alla crescente disponibilità di tecnologie innovative per il monitoraggio in tempo reale del paziente, l’analisi dei dati e l’elaborazione dei trend, infatti, permettono di ottenere un quadro molto più preciso a livello di popolazioni reali circa sicurezza ed efficacia di un certo medicinale nel suo effettivo contesto d’uso.
Il crescente interesse delle evidenze real world anche per informare gli enti preposti all’health technology assessment e al rimborso delle terapie, in particolare per quanto riguarda l’area dell’oncologia, è testimoniato anche dal seppur limitato aumento delle richieste di studi RWE citato dal terzo rapporto sull’argomento realizzato da EMA in collaborazione con gli Heads of Medicines Agencies.
Le terapie CAR-T (Chimeric Antigen Receptor Therapy) rappresentano un campo particolarmente avanzato e innovativo delle cure contro i tumori, come visto nel primo articolo di questa serie pubblicato a giugno.
La necessità di ottimizzare tutti i passaggi del percorso Brain-to-Vein del paziente può beneficiare del potenziale offerto dalle evidenze real world.
Ne parliamo con Enrico Derenzini.
Le evidenze real world sono il tema del momento, in quanto permettono di ottimizzare in tempo reale tutti i passaggi di monitoraggio del paziente durante il “viaggio nella terapia”, dalla diagnosi e conseguente selezione del trattamento più adatto al singolo caso, al monitoraggio dell’efficacia e della sicurezza, fino al follow-up post trattamento.
In un settore di terapia così altamente personalizzata come quella a base di CAR-T, qual è il possibile impatto dell’acquisizione di evidenze real world lungo tutto l’arco dell’esperienza del paziente?
L’impatto è molto rilevante, per due ragioni. Innanzitutto, perché, come per tutte le terapie, è sempre bene dimostrare il pattern di utilizzo della CAR-T nel contesto della pratica clinica, dopo che un trattamento sia stato approvato.
E, soprattutto, confermare che l’efficacia osservata nei trial sia mantenuta anche in un setting di real world: fino a oggi, tutti i dati RWE delle varie CAR-T disponibili confermano quanto visto negli studi clinici registrativi.
In generale, gli studi clinici hanno criteri di inclusione estremamente definiti, che portano a escludere i pazienti con compromissione clinica significativa. È un bias importante, che può determinare differenze rilevanti nell’efficacia osservata tra studi clinici registrativi controllati e real life.
Con le terapie CAR-T questo non avviene, perché anche nella vita clinica reale il processo di selezione del paziente rispecchia da vicino quello di un clinical trial registrativo.
Viceversa, terapie cosiddette off-the-shelf immediatamente disponibili – come gli anticorpi bispecifici o gli immunoconiugati – pagano dazio, perché negli studi RWE l’efficacia è sempre inferiore in modo abbastanza significativo rispetto a quella osservata negli studi registrativi. Questo proprio perché nella popolazione reale entra una frazione consistente di pazienti che non sarebbe stata inclusa nello studio registrativo.
Gli studi RWE sono rilevanti soprattutto per la gestione della tossicità delle terapie CAR T, dove si osserva il trend opposto: studi registrativi di alcune CAR-T cell therapy hanno mostrato un’incidenza di tossicità abbastanza rilevante, soprattutto quando si parla di sindrome da rilascio di citochine (CRS) e neurotossicità.
Questo accade per varie ragioni. Alcuni studi comprendevano pazienti con malattia piuttosto estesa, perché non era prevista la possibilità di fare la cosiddetta bridging therapy prima dei CAR-T.
In questi anni di utilizzo dei farmaci CAR-T da parte della comunità ematologica, la gestione di queste tossicità è molto migliorata, siamo più bravi a prevenirle e a gestirle, per esempio usando più precocemente terapie per la sindrome CRS come il tocilizumab (un anticorpo anti interleuchina-6), lo steroide o l’anakinra (un inibitore dell’interleuchina-1) per prevenire o controllare meglio le neurotossicità.
Paradossalmente, gli ultimi studi RWE mostrano come queste tossicità si stiano riducendo progressivamente negli anni.
È possibile pensare di utilizzare le evidenze real world per identificare in modo precoce i possibili pazienti ad alto rischio di sviluppare forme particolarmente aggressive di tumore, quindi più facilmente eleggibili ai trattamenti CAR-T, anche prima di decidere il trattamento di prima linea, e quali sono i metodi più adatti a tal fine?
Nei linfomi, la terapia CAR-T arriva dopo la prima linea per i pazienti che non rispondono o che hanno una recidiva precoce entro i dodici mesi. In questo caso, si potrebbero effettivamente usare le RWE per vedere quali possono essere i fattori che, alla diagnosi, predicono il fallimento del trattamento.
Molti di questi fattori sono già noti, per esempio è possibile identificare fin dall’inizio i pazienti che hanno un International Prognostic Index Score elevato per il linfoma diffuso a grandi cellule o quelli che hanno linfomi ad alto grado con traslocazioni degli oncogeni MYC e BCL-2.
Se si opera in un centro CAR-T non ci sono problemi, perché si gestisce direttamente il paziente e, nel momento in cui va in progressione o non risponde, si fa subito il trattamento CAR-T.
Il problema è quando questi pazienti sono in cura presso i centri referral: se non ci si muove con tempismo si perde la possibilità di fare la terapia CAR-T, perché non c’è il tempo di organizzare la visita in un altro centro, poi di organizzare l’aferesi dei linfociti, passano magari due settimane e la malattia è progredita.
A questo scopo sarebbe molto importante istituire reti regionali ben strutturate e funzionanti per la migliore gestione dei pazienti candidati a CAR-T.
Come impatterebbe questo approccio alla stratificazione di rischio dei pazienti rispetto alla pianificazione della strategia terapeutica, in particolare per quanto riguarda gli snodi decisionali durante il percorso di prima linea e l’individuazione del momento più adatto per inserire una terapia CAR-T?
Vi sono alcune fasi decisionali estremamente importanti nel percorso del paziente affetto da linfoma aggressivo, la cui corretta attuazione è cruciale nella riuscita di una terapia CAR-T.
Oltre alle caratteristiche basali che definiscono il rischio, menzionate sopra, è molto importante una valutazione dinamica del rischio in corso di trattamento: a questo proposito assume grande importanza la valutazione precoce della riposta alla terapia di prima linea con una interim PET eseguita dopo i primi tre cicli di trattamento, al fine d’intercettare i pazienti che non rispondono prima di una progressione clinica con deterioramento delle condizioni generali, la cui gestione potrebbe divenire problematica.
In quest’ottica i pazienti con risposta non adeguata sono possibili candidati a CAR-T.
Infine, un attento follow-up cinico strumentale dopo la fine della terapia è una strategia importante per rilevare precocemente recidive entro i primi dodici mesi, parametro che definisce indicazione all’esecuzione di terapia CAR-T che, se parliamo dei linfomi aggressivi, è la strategia terapeutica di seconda linea.
Ribaltando la cosa, uno studio real world su moltissimi pazienti potrebbe anche generare uno strumento prognostico che identifichi sia il rischio di recidiva precoce attraverso, per esempio, degli score di non risposta alla prima linea sia stratificare il paziente in termini di pianificazione della strategia terapeutica per l’individuazione del momento più adatto per inserire una terapia CAR-T.
 
            