IV simposio sulla medicina dei sistemi: l’impatto e la gestione dell’aderenza terapeutica

Nuove opportunità terapeutiche, tecnologie, progresso scientifico hanno consentito la migliore gestione delle patologie in acuto e in cronicità. Eppure, nel contesto attuale, la fragilità tanto dell’anziano quanto del bambino, le due fasce di popolazione più esposte a questa condizione, costituisce ancora un fenomeno importante, da monitorare, richiedendo l’analisi e lo sviluppo di strategie per il contenimento, quindi il mantenimento della sostenibilità della spesa farmaceutica a lungo termine, in pazienti – come i fragili – in molte situazioni in overtreatment.

Fondamentale è favorire l’aderenza terapeutica, (s)oggetta invece a diversi fattori che ne condizionano la “fedeltà”, con quanto ciò comporta. Se ne è parlato al IV Simposio sulla Medicina dei Sistemi (Milano, 24 Maggio, Sala Napoleonica, Università degli Studi), dal titolo “Medicina dei Sistemi. Il paziente fragile tra overtreatment e deprescrizione”, organizzato con il sostegno non condizionante di Guna, azienda farmaceutica leader in Italia nella Low Dose Medicine.

L’aderenza terapeutica

Migliori outcome clinici, maggiore risposta farmacologica, propensione del paziente a seguire con continuità e rigore la prescrizione medica, numero contenuto di terapie ad assunzione giornaliera, specie se in cronicità. Sono alcuni fattori che permettono e favoriscono obiettivi, non soltanto clinici ma anche di sostenibilità economica della spesa farmaceutica, quindi della spesa pubblica in un contesto complesso come, ad esempio la gestione di pazienti cronici e non cronici, pluri-patologici.

In Italia, i pazienti cronici costituiscono all’incirca il 30% della popolazione, pari a più di 30 milioni di persone, che assorbono il maggior numero di risorse, all’incirca il 70% della spesa. Il costo di un paziente con cronicità è, infatti, 4 volte superiore a un paziente non cronico con costi che salgono sensibilmente in funzione del numero di patologie, passando da 1 a 7 volte in caso di 2 malattie concomitanti, da 1 a 12 in presenza di 3 malattie, da 1 a 21 con 4 patologie e così via.

La “visone” della cronicità non va, dunque, limitata solo all’aspetto clinico: essa va inquadrata anche da un punto di vista epidemiologico, gestionale e organizzativo, specie nel contesto italiano. Vi è infatti evidenza, che rispetto ad altri Paesi economicamente avanzati, sul nostro territorio si ha un ritardo diagnostico della patologia in atto di circa 3-4 anni: fondamentale sarebbe, invece, catturare e gestire, quanto prima possibile, il paziente cronico che ha complessità e esigenze diverse rispetto a un paziente in normale terapia.

L’aderenza terapeutica ovvero la coincidenza tra comportamenti individuali del paziente e prescrizioni ricevute dal curante, specie in pazienti cronici, favorisce il miglioramento dei dati clinici, di conseguenza la riduzione dei costi di gestione del paziente. All’opposto una cattiva aderenza terapeutica, ad esempio una glicemia fuori range in un paziente diabetico, genera un loop terapeutico che ricade sull’aumento dei dosaggi della terapia, una maggiore richiesta di esami specialistici, il peggioramento della qualità della vita del paziente e l’incremento dei costi assistenziali.

Emblematici ad esempio, sono i casi di pazienti con patologie cardiovascolari e/o respiratorie. Esiste anche una correlazione fra compliance, costi e ospedalizzazione; in caso di cattiva aderenza, ad esempio, inevitabilmente diminuiscono i costi dei farmaci, ma aumenta la spesa dei restanti ambiti assistenziali.

I predittori della scarsa aderenza e le strategie per il contenimento

Complessità del trattamento, barriere di accesso a strutture sanitarie, costo del farmaco, quindi la compartecipazione del paziente alla spesa terapeutica, e in particolare quest’ultima, sono fattori che impattano sulla cattiva aderenza. Dati recenti, presentati durante il Simposio, attestano che in caso di out of pocket, banalmente il ticket, superiore a 22,5€ al mese, diminuisce la capacità del paziente, fino all’annullamento di autogestione della terapia. Anche troppi farmaci, potenzialmente associati anche all’incremento di effetti collaterali, rappresentano un ostacolo all’aderenza, impattando per il 26% sulla fedeltà alla cura.

L’outcome, dunque, dipende sensibilmente dalla compartecipazione del cittadino alla spesa. I dati di aderenza in Italia non sono confortanti: AIFA riporta che l’alta aderenza, il paziente che continua regolarmente e correttamente la terapia per l’80% del tempo di assunzione, è pari al 40%, a fronte del 15-20% di bassa aderenza.

Sull’alta aderenza incidono anche altri fattori: il sesso (è superiore negli uomini rispetto alle donne, probabilmente influenzata dal ruolo di care-giver che queste ultime ricoprono nel contesto famigliare che le porta a prendersi cura dei congiunti trascurando se stessa), il tipo di patologia (è elevata ad esempio in pazienti con BPCO (Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva) e ipertesi), l’età.

Scarsa aderenza significa anche aumento della morbidità e mortalità, peggioramento della qualità della vita del paziente, aumento dei costi sanitari, e altro. L’aderenza è fattore cruciale per l’efficacia della terapia e dello stato di salute in generale. Fondamentale è dunque attivare politiche in grado di monitorare e migliorare la stessa: coinvolgere il farmacista, non solo ospedaliero, ma soprattutto del territorio, favorire l’engagement del paziente, fornendo maggiori spiegazioni sugli effetti di una terapia e gli esiti di una buona/cattiva aderenza, dotare il paziente di strumenti di monitoraggio per la gestione dei farmaci, come le app ad esempio, migliorare l’educazione sanitaria ottimizzare il numero di terapie, con una riconciliazione farmacologica sono azioni che ricadono positivamente sull’aderenza terapeutica, quindi sullla sostenibilità del sistema e della spesa farmaceutica.

Il caso della rinosinusite cronica

La patologia colpisce all’incirca il 10% della popolazione generale, con ripercussioni più evidenti sul paziente anziano: fragile, instabile, spesso immunocompromesso, in politerapia, esposto a una molteplicità di problematiche, più o meno importanti.

La rinosinusite cronica è una condizione eterogenea a un gruppo di malattie, come asma (40%), a sua volta associata nelle forme gravi anche a poliposi nasale (25%), disordini genetici, soprattutto nei bambini, allergie che possono indurre alterazioni della mucosa nasale con danno delle giunzioni che tengono unito l’epitelio, favorendo il libero accesso agli antigeni (allergeni, polveri, virus, batteri e miceti) con conseguente aumento della produzione di fibroblasti, citochine, quindi con un danno del rimodellamento della mucosa stessa. I trattamenti della rinosinusite cronica sono spesso molteplici, costosi, in gran parte a carico del paziente, determinando una diminuzione dell’aderenza terapeutica.

La patologia richiede un trattamento tempestivo con pulizia del naso (lavaggi nasali), terapia medica, con anticorpi monoclonali e citochine, soluzioni saline, isotoniche o ipertoniche. I corticosteroidi, specificatamente i cortisonici sono il gold standard terapeutico per la gestione della rinosinusite cronica, tuttavia associati ad alcune criticità: un tempo di latenza lungo prima di entrare in azione e l’impiego solo a breve termine, mentre gli antistaminici attuali sebbene siano ottimi nella gestione di alcune sintomatologie rinosinusite correlate, non hanno invece efficacia sul naso, sviluppando diversi effetti collaterali; ad esempio nel paziente anziano e fragile, possibile confusione mentale e visione offuscata con le implicazioni che ne possono conseguire.

Sconsigliato è, invece, l’uso di decongestionati nasali che distruggono la mucosa. Evidenze si hanno, come anticipato dall’impiego di anticorpi monoclonali, tra cui Mepolizumab, Reslizumab, Benralizumab (alcuni efficaci sull’asma ma non sulla poliposi), tuttavia dai costi elevatissimi, con richiesta di trattamento a vita (non sempre ben accetto al paziente), assenza di certezza di risposta terapeutica in taluni contesti, effetti collaterali nel lungo periodo.

Quindi che fare e come proseguire nel trattamento in caso di pazienti in remissione, cioè in assenza di infiammazione a livello di mucosa nasale? Il suggerimento è il ricorso a trattamenti con citochine Low Dose, come Interluchina(IL)-10, o IL-12 o Interferone gamma (IFN-γ), per integrare terapie farmacologiche sintomatiche, contenere effetti collaterali e creare un percorso terapeutico nel post-remissione, tra cui il potenziamento della risposta immunitaria. Il futuro nel trattamento della rinosinusite cronica è potenzialmente verso terapie Low Dose con azione sulla neuroinfiammazione, quali il Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF) di cui va studiata la somministrazione, IL-10 e infine il Transforming Growth Factor-beta (tgf-β) per il trattamento del danno di membrana.

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