La somministrazione regolare dei fattori della coagulazione ha consentito di ridurre drasticamente il rischio emorragico nei pazienti emofilici, permettendo loro di condurre una vita più autonoma e attiva. Oggi, l’emofilia è esempio di come la ricerca scientifica e l’organizzazione sanitaria possano trasformare la qualità di vita delle persone con malattie rare.
Malattia emorragica congenita rara causata da un deficit dei fattori della coagulazione, l’emofilia rappresenta una delle condizioni più emblematiche nel percorso di evoluzione della medicina moderna: da patologia fortemente limitante a condizione oggi gestibile con efficacia, grazie al progresso terapeutico e alla crescente consapevolezza sociale.
Secondo il registro dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si contano circa 2.650 persone con emofilia, su un totale europeo di poco più di 34.000 pazienti. I sintomi più caratteristici sono le emorragie articolari e gli ematomi muscolari, con conseguenze che nel tempo, possono compromettere gravemente la mobilità e la qualità di vita. Fino a pochi decenni fa, a chi era affetto da emofilia veniva sconsigliato di praticare sport o attività fisica, nel timore di provocare sanguinamenti o traumi articolari.
L’introduzione della profilassi, a partire dagli anni ‘90, ha radicalmente modificato questo scenario: la somministrazione regolare dei fattori della coagulazione ha consentito di ridurre drasticamente il rischio emorragico, permettendo ai pazienti di condurre una vita più autonoma e attiva. Oggi, l’emofilia è un esempio concreto di come la ricerca scientifica e l’organizzazione sanitaria possano trasformare la qualità di vita delle persone con malattie rare.
Agonismo, solidarietà e divulgazione scientifica
Su questi presupposti si è basato The HemoGolf Challenge, il torneo internazionale svoltosi a Roma e Rieti e promosso da BIOVIIIx con il sostegno di FedEmo, la Federazione Italiana Golf e la Regione Lazio, per diffondere un messaggio chiaro: vivere con l’emofilia oggi significa poter affrontare la vita in modo pieno, anche attraverso lo sport.
L’iniziativa ha unito agonismo, solidarietà e divulgazione scientifica, puntando a rendere visibile una patologia spesso invisibile, ma non per questo meno impegnativa.

«Negli anni l’Italia ha compiuto grandi progressi nella cura dell’emofilia, affermandosi come uno dei Paesi in cui questa patologia è trattata al meglio», ha dichiarato Luigi Ambroso, vicepresidente di FedEmo.
«L’accesso ai farmaci oggi è sostanzialmente garantito su tutto il territorio nazionale, da nord a sud, permettendo a molti pazienti di ricevere cure adeguate e continuative. Certo, persistono alcune differenze sul piano dell’assistenza, in particolare per l’ambito protesico, poiché nel tempo il numero dei centri specializzati si è ridotto.
Tuttavia, il sistema nel suo complesso resta solido e capace di rispondere ai bisogni principali dei pazienti. Resta però fondamentale garantire un supporto psicologico, soprattutto alle famiglie. La diagnosi di una malattia rara come l’emofilia può inizialmente generare paura e disorientamento nei genitori: è naturale temere ciò che non si conosce.
Con il tempo, grazie all’informazione, alla vicinanza dei centri di riferimento e al progresso delle terapie, queste paure si attenuano e lasciano spazio alla consapevolezza e alla serenità nella gestione della malattia».
Confronto tra clinica, associazionismo e testimonianza diretta
L’evento ha rappresentato anche un momento di confronto tra clinica, associazionismo e testimonianza diretta.
«I progressi nelle terapie e la gestione consapevole della malattia permettono oggi ai pazienti di vivere una vita piena, coltivare le proprie passioni e affrontare sfide che un tempo sembravano irraggiungibili», ha affermato Davide Rosiello, CEO di BIOVIIIx, illustrando lo spirito dell’iniziativa.
A incarnare questo messaggio è stato Perry Parker, golfista professionista di fama internazionale affetto da emofilia, la cui esperienza personale sintetizza meglio di qualunque dato scientifico quanto la ricerca abbia modificato il destino di chi convive con questa condizione.
«Da bambino mi dissero che non potevo praticare sport né svolgere attività fisica», racconta Parker. «Tuttavia, per me è sempre stato diverso: mio padre era un allenatore e mi insegnò ad allenarmi, allungare i muscoli e mantenere il corpo in buona forma, così che, quando avessi potuto giocare, fossi pronto. Oggi, grazie ai progressi nella cura dell’emofilia, tutto è cambiato.
Il principale traguardo è rappresentato dal trattamento profilattico: questo consente a molte persone con disturbi emorragici di praticare sport in sicurezza. I nuovi farmaci disponibili hanno aperto possibilità che un tempo erano impensabili. Mantenersi in forma, fare attività fisica regolare e seguire con costanza la terapia sono le chiavi che permettono di vivere appieno».
Parker, che da 38 anni compete come atleta professionista, testimonia l’impatto concreto dell’innovazione terapeutica: «quando ero bambino, non esisteva la profilassi. All’epoca ricevevo sangue intero, DDAVP o crioprecipitato. Poi arrivarono le terapie adeguate e da allora tutto cambiò: finalmente potevamo fare ciò che desideravamo. Oggi viviamo in un mondo completamente diverso rispetto a 40 anni fa.
È importante per i ragazzi comprendere che la possibilità di seguire un trattamento profilattico è un privilegio che consente loro di praticare sport, vivere normalmente e inseguire i loro sogni. La profilassi va accolta con positività: è ciò che permette di vivere appieno la vita».
Rara e invisibile: l’importanza di fare rete
L’emofilia resta tuttavia una malattia “invisibile”: la sua rarità e l’assenza di segni esteriori la rendono spesso poco conosciuta, alimentando ancora oggi pregiudizi e stereotipi.
«Al contrario, proprio lo sport può contribuire al benessere psicofisico, all’integrazione sociale e al miglioramento della qualità di vita per le persone con emofilia», afferma Cristina Cassone, presidente della Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo).
«Affiliarsi e fare rete significa poter contare su sostegno, orientamento e condivisione: un capitale umano e sociale che spesso fa la differenza nel percorso quotidiano con una malattia cronica».
In questa prospettiva, l’attività fisica rappresenta oggi un vero e proprio strumento terapeutico complementare: rafforza la muscolatura, protegge le articolazioni e favorisce la consapevolezza del proprio corpo, riducendo così il rischio di emorragie spontanee.
Lo conferma anche l’esperienza raccontata da Gerardo Guerrino, presidente dell’Associazione Regionale Campana dell’Emofilia (A.R.C.E.), che ha partecipato all’iniziativa: «quando abbiamo ricevuto l’invito per questo evento, che ho definito fin da subito “singolare”, ne siamo stati immediatamente incuriositi: si tratta, infatti, di un’iniziativa molto diversa rispetto alle numerose attività che svolgiamo durante l’anno.
È stata un’esperienza davvero particolare e significativa. Attraverso lo sport, abbiamo potuto trasmettere un messaggio importante: ciò che fino a pochi anni fa era considerato sconsigliabile per una persona con emofilia, oggi è riconosciuto come un alleato del benessere. Lo sport, se praticato in modo consapevole e con le giuste precauzioni, fa bene e contribuisce a proteggere le articolazioni rafforzando i muscoli.
Un ruolo fondamentale in questa giornata l’ha avuto l’atleta che ci ha guidato nell’attività, un vero e proprio maestro, lui stesso affetto da emofilia. La sua testimonianza diretta ha mostrato come sia possibile praticare sport a livello professionale, dimostrando che con impegno, cura e determinazione si può vivere pienamente anche con una condizione emorragica.
Oggi abbiamo davvero assaporato la bellezza di un’attività diversa dal solito: attraverso il gioco e la condivisione abbiamo compreso un messaggio semplice ma profondo — lo sport fa bene, anche e soprattutto alle persone con emofilia».
La storia dell’emofilia negli ultimi decenni è, in definitiva, la storia di un progresso scientifico e umano straordinario. Dai tempi in cui la diagnosi implicava limitazioni severe, si è giunti a una gestione clinica efficace, che consente ai pazienti di vivere con autonomia, sicurezza e prospettive di vita quasi sovrapponibili alla popolazione generale.
Il futuro della cura passa attraverso la personalizzazione terapeutica, l’innovazione farmacologica e la continuità assistenziale. Altrettanto essenziale è la dimensione sociale e psicologica: l’informazione, la rete associativa e la condivisione di esperienze restano strumenti cruciali per rendere visibile l’invisibile e restituire piena dignità alla vita con l’emofilia.




