Una patologia complessa, impegnativa, ricca di sfide ed estremamente demanding in termini di gestione clinica, sia nel quotidiano del paziente sia per le strutture ospedaliere, con attenzione alla logistica e alla pianificazione. Non esente neppure da burden psicologico e sociale importanti.
È il profilo della talassemia: malattia genetica del sangue che comporta anemia cronica, associata a possibili complicanze e danni gravi di diversi organi indotte dall’evoluzione della stessa patologia e dalle terapie correlate. In Italia la talassemia è distribuita a livello nazionale ma con una più elevata concentrazione in alcune aree del paese: Sardegna, Sicilia, Calabria e nelle aree dell’Oltrepò pavese, come conseguenza alla malaria. Sono più prevalenti le forme severe di malattia, con 7.200 casi stimati, a fronte di 3 milioni di portatori sani del tratto talassemico; tali caratteristiche determinano anche l’approccio terapeutico.
La cura, nella gran parte dei casi, è strettamente dipendente da trasfusioni costanti, calendarizzate, associate a terapia chelante quotidiana, ma sono attesi importanti cambi di paradigma, grazie all’avvento di nuove terapie, sia curative, come la terapia genica, sia non curative con soluzioni in grado di ridurre la necessità trasfusionale.
Se ne è parlato a Milano, nel corso dell’evento “Viaggio nella Talassemia: burden, gestione clinica, cure di oggi e di domani”, promosso da Avanzanite Bioscience B.V.
L’inquadramento clinico
La talassemia, meglio definita come sindromi talassemiche, è una malattia del sangue geneticamente determinata che ha a fattor comune, pur nelle sue diverse forme, un difetto nella produzione dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno nel sangue, quindi nei precursori dei globuli rossi costretti a morte precoce. La minor quantità di ossigeno indotta esita in anemia cronica, principale sintomo della talassemia La diagnosi oggi di norma precoce avviene entro i 6 mesi di vita del bambino, avviato a specifici trattamenti in relazione alla severità di malattia, associata alla mutazione genetica coinvolta nella produzione dell’emoglobina e che determina anche il sottotipo di malattia.
Ovvero l’α-talassemia, legata ad alterazioni delle catene alfa, più rara nel nostro paese, e la β-talassemia, caratterizzata da un difetto nella sintesi delle catene beta su cui c’è stata anche la maggiore attenzione clinica e terapeutica. Inoltre, la severità della condizione determina anche forme trasfusione-dipendenti, che richiedono sacche di globuli rossi ogni 2–4 settimane necessarie a mantenere livelli adeguati di emoglobina e terapia chelante quotidiana, e forme non trasfusione-dipendenti.
Queste ultime caratterizzate da un’anemia meno severa tuttavia associata, nel tempo, a complicanze cliniche legate alla ridotta ossigenazione dei tessuti e al progressivo accumulo di ferro dovuto all’eritropoiesi inefficace.
«La talassemia si trasmette come carattere autosomico recessivo» spiega Maria Domenica Cappellini, professore onorario di Medicina Interna dell’Università di Milano «vale a dire che il soggetto portatore (portatore sano) presenta una modesta anemia microcitica, cioè con globuli rossi più piccoli del normale, e a un approfondimento diagnostico anche un aumento di una delle componenti delle frazioni emoglobiniche. Pertanto, due portatori nella coppia hanno probabilità di trasmettere al figlio la malattia per il 25%, mentre nel caso dell’α-talassemia sono necessari 4 geni per producono le stesse quantità di emoglobina beta, qui data da due geni. Ciò significa che in questa foma per avere la malattia devono essere coinvolti più geni. Tuttavia, la talassemia – come detto – non coinvolge soltanto il sangue, ma numerosi organi e apparati, con un impatto clinico e psicologico significativo. Oggi, la prevenzione e la diagnosi precoce hanno ridotto la nascita di nuovi casi e i progressi nella terapia trasfusionale e nella chelazione del ferro hanno aumentato le aspettative di vita che può superare anche i 70 anni nei pazienti trasfusione -dipendenti. La sopravvivenza e la qualità della vita deve rimanere pertanto al centro della nostra attenzione con un impegno che va rivolto alla personalizzazione delle cure in base all’età, alle comorbidità e alla storia clinica di ciascun paziente, garantendo una presa in carico realmente globale».
Invece ancora insufficiente o male organizzata a causa di diversi fattori: pochi medici specialisti, scarsa (in)formazione che deve essere multiprofessionale, coinvolgendo anche infermieri e psicologia, il diverso approccio al paziente più o meno “umanizzato”, la mancanza di una “rete” nazionale di coordinamento, che consenta di avere il sangue giusto, per il paziente giusto e nel momento giusta.
«Il sangue rappresenta una importante criticità» dichiara Filomena Longo, direttrice dell’UOC Talassemie ed Emoglobinopatie presso l’AOU Arcispedale S. Anna di Ferrara «non è, infatti, un bene sempre disponibile, e per un paziente il ritardo trasfusionale impatta sulla qualità della vita. La necessità di programmare trasfusioni regolari, il controllo del sovraccarico di ferro e le frequenti sorveglianze strumentali determinano un’importante complessità gestionale e un pesante burden assistenziale e psicologico, tenendo conto anche della popolazione che invecchia e della lungo-sopravvivenza che ha portato alla comparsa di comorbidità quali endocrinopatie, complicanze cardiovascolari e osteoporosi, che richiedono un approccio multidisciplinare costante. Per questo è fondamentale una rete di centri specializzati che collabori in modo sinergico, garantendo continuità assistenziale e uniformità di trattamento sul territorio nazionale. In questo percorso un ruolo cruciale hanno le farmacie ospedaliere per la programmazione e l’approvvigionamento del sangue, ad esempio, rendendo essenziale la loro inclusione nei PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale)».
Tutto ciò costituisce un carico di unmet need che richiedono attenzione e “presa in carico” tempestiva.
Le attese terapeutiche
Le trasfusioni di globuli rossi rappresentano il cardine della terapia nella talassemia trasfusione-dipendente e consentono una crescita normale nei bambini e il mantenimento delle attività fisiche e lavorative negli adulti, associata a terapia ferrochelante con le implicazioni, anche severe, già evidenziate. Anche pazienti con forme non trasfusione-dipendenti, pur con un’anemia meno severa, possono andare incontro a complicanze che richiedono monitoraggio e interventi terapeutici.
«Per queste e altre ragioni l’aderenza terapeutica» conclude Raffaella Origa, professore di Pediatria dell’Università di Cagliari «a un trattamento che deve essere mantenuto per tutta la vita, rappresenta un elemento cruciale e talvolta difficoltoso, soprattutto nei pazienti più giovani, fino alla decisione in alcuni casi alla rinuncia alla cura. La ricerca sta offrendo nuove opportunità terapeutiche, con farmaci in grado di migliorare i livelli di emoglobina e ridurre il fabbisogno trasfusionale, favorendo una maggiore autonomia e una migliore qualità di vita dei pazienti».
Al trapianto di cellule staminali ematopoietiche in un recente passato l’unica cura definitiva, soprattutto nei bambini con donatore compatibile, ma non sempre possibile, si stanno affiancando terapie alternative sperimentali, come la terapia genica, che permette ad alcuni pazienti trattati di raggiungere l’indipendenza trasfusionale.
I vettori lentivirali di nuova generazione, infatti, si presentano più efficienti, sicuri e senza evidenza di danni a carico del materiale genetico, mentre altre soluzioni non curative indicate nelle forme non trasfusione-dipendente potranno favorire la riduzione della necessità trasfusionale, con dati di efficacia positivi dai primi trial clinici condotti.



