Per la prima volta, è stato ottenuto il profilo epigenetico del cancro, che può essere bersaglio di nuovi farmaci mirati ed efficaci nei tumori per cui oggi non esistono terapie innovative.
La ricerca è stata condotta da un gruppo guidato da Tiziana Bonaldi, direttore dell’Unità di Ricerca Nuclear Proteomics dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e pubblicata su Nature Communications.
«Le attuali target therapy, che hanno rivoluzionato la cura dei tumori, si basano sul profilo mutazionale, vale a dire le alterazioni geniche che si producono nella sequenza del DNA e caratterizzano un tumore in modo permanente. Queste alterazioni possono essere bersagliate da molecole mirate per renderle inattive», spiega Bonaldi.
«Sappiamo però che esiste anche un secondo profilo, diciamo una seconda identità, che è quello epigenetico, che regola l’attività del DNA in base a fattori esterni, come dieta e ambiente.
Si tratta di un profilo più dinamico e instabile rispetto a quello mutazionale, perché le alterazioni epigenetiche sono reversibili e possono essere modificate, anche in questo caso con farmaci mirati, detti appunto epigenetici. Il profilo epigenetico è quindi molto interessante dal punto di vista della cura oncologica, ma fino a ieri non c’erano strumenti per generarlo da campioni clinici.
Allo IEO abbiamo messo a punto la prima piattaforma tecnologica che permette di ottenere il profilo epigenetico completo dei tumori ed è, secondo noi, un risultato che potrà cambiare la storia dei tumori più temibili, fino ad oggi orfani di cure innovative».
Come illustrato da Giulia Robusti, giovane ricercatrice e firmataria del lavoro, il risultato è stato ottenuto lavorando su 200 campioni clinici di tumori della mammella.
«Prima abbiamo individuato una firma epigenetica, cioè un insieme di marcatori, che caratterizza i tumori triplo negativo, una forma di tumore mammario che purtroppo manca di terapie specifiche. Abbiamo successivamente scoperto che l’aumento di uno specifico marcatore epigenetico è legato ad una peggiore risposta alla chemioterapia.
Questo aumento è dovuto all’azione di un enzima conosciuto e abbiamo trovato un farmaco epigenetico, già in uso, capace di inibirlo. Nei test in vitro le cellule esposte al farmaco crescono meno e diventano sensibili alla chemioterapia. Questi risultati sono stati confermati in vivo».
Nuove prospettive
Il 15-20% di tutti i tumori del seno appartengono al tipo molecolare triplo negativo, che rappresenta la sfida più impegnativa perché è una malattia eterogenea, di cui non si conoscono target molecolari specifici e di conseguenza non si dispone di farmaci di nuova generazione.
Come spiegato da Roberta Noberini, prima co-autrice dello studio, i ricercatori hanno capito che per trovare nuovi target era necessario utilizzare un approccio diverso da quello mutazionale, che studia le alterazioni permanenti nel DNA.
Considerando che il tumore è plastico e con una grande capacità di adattamento, il team ha, quindi, pensato una tecnologia capace di evidenziare il profilo epigenetico che sa cogliere questa plasticità.
«Sappiamo infatti che l’epigenetica ha un ruolo importante nella progressione tumorale e la formazione di metastasi. Una volta generato l’identikit epigenetico, lo abbiamo integrato con altre profilazioni molecolari per identificare il meccanismo attraverso cui agisce», aggiunge Noberini.
«La nostra scoperta apre orizzonti clinici molto promettenti per i tumori mammari triplo negativi, perché il farmaco epigenetico che abbiamo utilizzato appartiene alla classe degli inibitori di un enzima di cui conosciamo l’efficacia.
Il nostro progetto è infatti di cercare marcatori epigenetici per farmaci già in uso, per poterli applicare rapidamente in clinica», osserva Alessandro Vai, dottorando che in questo studio si è occupato delle analisi bioinformatiche.
L’approccio usato in questo progetto è applicabile anche ad altri contesti tumorali.
«Il nostro prossimo studio in quest’area riguarderà il tumore dell’ovaio, tristemente conosciuto per la resilienza e resistenza ai farmaci, in vista della sperimentazione clinica.
Nel frattempo ci siamo posti il prossimo quesito di ricerca: se la firma epigenetica è presente e rilevabile nel tessuto perché non dovrebbe esserlo anche nel sangue? L’idea di ottenere il profilo epigenetico con un semplice prelievo di sangue non è un’utopia», conclude Bonaldi.




