In letteratura è già stata evidenziata la relazione tra anemia sideropenica e scompenso cardiaco, dove la prima è spesso fattore di rischio per ospedalizzazione e mortalità (la carenza di ferro affligge il 60-70% dei pazienti scompensati).
La sideremia è un valido strumento per capire quali sono i pazienti a maggior rischio di peggioramento, ma non sempre i normali esami del sangue bastano.
Al Centro Cardiologico Monzino di Milano i ricercatori hanno capito come utilizzare questo parametro come fattore prognostico identificando una serie di parametri utili.
Li descrive il prof. Piergiuseppe Agostoni, coordinatore dello studio, direttore del Dipartimento Cardiologia Critica e Riabilitativa del Centro Cardiologico Monzino e professore ordinario di malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Milano: «il deficit di ferro se definito esclusivamente secondo i criteri delle linee guida internazionali non sempre permette di identificare tra tutti i pazienti con scompenso cardiaco quelli a rischio più elevato e che quindi, più degli altri, giovano di supplementazione di ferro.
Noi, grazie ai nostri studi, abbiamo identificato quali sono i parametri in grado di individuare questo sottogruppo di pazienti a più alto rischio. Si tratta dei pazienti che presentano un deficit funzionale di ferro, vale a dire pazienti che presentano valori di ferritina fra 100 e 300 mcg/L e saturazione della transferrina inferiore al 20%.
In pratica in queste persone la disponibilità di ferro è insufficiente per lo svolgimento delle funzioni cellulari, prima fra tutte la produzione di energia, anche se hanno globalmente adeguati depositi di ferro.
Infatti, affinché la quantità di ferro non influisca negativamente sulla gravità della malattia occorre che ve ne sia abbastanza, sia fermo nei depositi che in circolazione, cioè a disposizione di tutte le cellule dell’organismo che ne hanno bisogno.
Un altro importante aspetto da tenere in considerazione è che la prognosi peggiore associata al deficit funzionale molto probabilmente è causata dalla presenza di uno stato infiammatorio cronico. Questa osservazione cambia il modo di vedere lo scompenso, che può manifestarsi anche come una malattia infiammatoria».
Queste considerazioni sono basate sui risultati di uno studio condotto su 800 tra i pazienti del Monzino, ricoverati con diagnosi di scompenso cardiaco e seguiti per 5 anni, così da poter valutare la relazione tra deficit di ferro e mortalità.
Significa, quindi, che bisogna sottoporre al controllo del ferro tutti i pazienti con questa patologia? Risponde Agostoni: «al Monzino noi misuriamo l’assetto del ferro a tutti pazienti. Il messaggio clinico del nostro lavoro è quindi prima di tutto una raccomandazione a tutti i centri specializzati di eseguire gli esami del sangue necessari ad individuarne l’eventuale carenza.
Ricordiamo, inoltre, che in presenza di deficit funzionale di ferro esistono già dei farmaci mirati, come il Ferrocarbossimaltosio, somministrabili endovena. Una diagnosi appropriata può quindi salvare la vita di molti pazienti e migliorarne la qualità».
Lo scompenso cardiaco è, a oggi, una delle principali cause di ricovero nell’anziano. Essendo una patologia cronica, richiede un follow-up continuativo e attenzione a tutta una serie di parametri. Il ferro è uno di questi.
(Lo studio: Campodonico J, Nicoli F, Motta I, Migone De Amicis M, Bonomi A, Cappellini M, Agostoni P. Prognostic role of transferrin saturation in heart failure patients. Eur J Prev Cardiol. 2021 Dec 29;28(15):1639-1646. doi: 10.1093/eurjpc/zwaa112. PMID: 33619543)