Uno studio italiano mette a confronto fidaxomicina e vancomicina, molecole impiegate nella pratica clinica per la gestione dell’infezione da Clostridioides difficile (CD), dimostrando che l’approccio economicamente più oneroso è il più sostenibile per outcome clinico e risparmio di eventi avversi, ricadute, ospedalizzazioni, costi assistenziali.
Complesso per la gestione e la varietà di manifestazioni, possibili implicazioni e outcome clinici, il CD è un rilevante problema clinico ed economico, con impatti significativi sul SSN. Tra le più importanti ICA nei Paesi industrializzati, il CD è innescato da un bacillo anaerobio, gram-positivo, sporigeno e tossigeno, a trasmissione oro-fecale, ampiamente distribuito nell’ambiente e capace di colonizzare il tratto intestinale dell’uomo e di altri mammiferi.
Molti i trigger associati alla sua insorgenza: terapie antibiotiche (principale fattore di rischio per l’alterazione indotta sull’equilibrio della microflora intestinale, in cui il batterio trova ambiente favorevole di proliferazione), età avanzata, condizioni di immunodepressione, lunga permanenza in strutture sanitarie.
Isolamento del paziente, disinfezione degli ambienti e uso di antibiotici specifici sono misure per il controllo del CD, cui si associano varie criticità: possibile evoluzione, rapida e ingravescente, riacutizzazione, frequenti recidive.
Contesti che aumentano i costi assistenziali ospedalieri e per il sistema. Per contenere la spesa pubblica, uno studio italiano del 2024 apparso su Clinico Economics (1) ha confrontato due terapie, farmaco generico vs branded, usati in prima linea nella gestione dell’infezione, mettendo in luce inattese evidenze.
Inquadramento clinico ed epidemiologico
Difficile anche nelle manifestazioni, il CD può presentarsi in vari quadri clinici, da semplici diarree autolimitanti a condizioni severe, come colite pseudomembranosa e megacolon tossico, ad alto indice di mortalità, perforazioni intestinali, sepsi. Negli ultimi 30 anni l’incidenza d’infezioni da CD (ICD) è nettamente aumentata nel mondo, profilandosi come la più comune causa d’infezione nosocomiale.
In contrasto con precedenti studi epidemiologici che qualificavano l’ICD come patologia in prevalenza acquisita in ospedale, le evidenze suggeriscono che sia tra le principali cause di diarrea in comunità, sia in una popolazione giovane sia in soggetti che non presentano fattori di rischio per ICD, circa il 2-3% della popolazione adulta sana (1,2), come precedente ospedalizzazione e/o recente esposizione ad antibiotici.
Tra i determinanti dell’aumento d’incidenza, di morbilità e mortalità delle ICD, la diffusione di ceppi ipervirulenti di CD ne avrebbe sostenuto in modo rilevante la proliferazione. In Italia si stimano tra 450.000 e 700.000 infezioni l’anno in persone ricoverate, posizionando le ICD tra le complicanze più comuni e gravi, presenti in circa il 4-7% dei ricoveri e delle cure sanitarie.
L’incidenza di ICD correlate all’assistenza nel 2018-2020 è stata di 2,58 casi per 10.000 giorni-paziente nel 2020, 2,02 nel 2019 e 2,79 nel 2018, secondo dati dell’ECDC con casi nel 2020 in apparenza associati a tassi moderatamente maggiori di recidive, complicazioni e mortalità, rispetto agli anni precedenti, da evidenze rilevate dal rapporto annuale “Clostridioides difficile infections – Annual Epidemiological Report for 2018-2020” (ECDC, 2/5/2024).
Lo studio italiano
Si sono confrontati fidaxomicina, antibiotico macrolide a somministrazione orale e a spettro ristretto, e vancomicina, antibiotico glicopeptide ad ampio spettro, usati in prima linea nella gestione delle ICD, secondo le linee guida della Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive 2021.
L’analisi si è basata su modelli di costo-efficacia (CEA), che definiscono il valore di un trattamento comparandone i costi con gli outcome clinici/di salute, e modelli d’impatto sul budget (BIA) incentrati sulla valutazione di effetti finanziari derivanti dall’implementazione di diverse strategie di trattamento, applicata al SSR lombardo.
Territorio in cui si registra un’incidenza di ICD da 5,3 a 5,6 per 10.000 giorni-paziente, corrispondente a oltre 8.611 giorni-paziente e 4.822 eventi critici l’anno.
«Obiettivo dello studio», spiega Davide Croce, ingegnere presso il Centro di Ricerche in Economia e Management in Sanità e primo autore dello studio, «era stimare nell’arco temporale di un anno l’impatto a breve e lungo termine, quindi i costi associati all’assistenza sanitaria, al management e ai relativi eventi clinici, dell’ICD, secondo un approccio valutativo basato sui costi delle attività dirette, indirette e indotte, in riferimento alle linee guida ESC-MID. Abbiamo elaborato una modellizzazione economica su fidaxomicina e vancomicina, usate di routine come gold standard nella gestione delle ICD. L’analisi si è spinta fino al secondo ciclo di terapia, definibile come guarigione».

La valutazione farmacoeconomica è partita da studi registrativi, garanti di sicurezza e di avere superato il vaglio delle agenzie regolatorie del mondo (EMA, FDA, AIFA).
Recenti analisi statistiche che hanno valutato due farmaci di uso comune nel trattamento dell’ICD (fi-daxomicina, farmaco branded con costo a confezione di circa 1.500 euro e il generico vancomicina, con un prezzo di 30 € a scatola) mostrano outcome finali più sostenibili e vantaggiosi anche di ricadute cliniche del branded, nonostante i più onerosi costi d’investimento inziali, rispetto all’apparente più economico generico.
«L’analisi mostra la non inferiorità di fidaxomicina rispetto a vancomicina nel ridurre le recidive, con sensibili vantaggi in termini di ricadute per CD. Queste ultime si verificano di norma a otto settimane in circa il 20% dei pazienti dopo un primo episodio d’infezione, arrivando al 40% dopo due episodi d’infezione, fino a un picco del 60% dopo tre o più eventi ricorrenti.
L’insorgere di recidive impatta sensibilmente sul carico della malattia, per i costi ospedalieri, con aumento importante dei giorni di (ri)ospedalizzazione, ed economici in generale».
I costi della ICD
A fronte della differenza significativa dei costi iniziali fra le due molecole, in relazione agli effetti avversi correlati (di grado 3 o superiori), ai costi di ospedalizzazione (cure e protocolli di sterilizzazione per malattie infettive), le due terapie hanno mostrato impatto sostanziale sull’outcome complessivo.
Tuttavia, fidaxomicina, a valori, è più conveniente: l’analisi di budget impact evidenzia un risparmio complessivo annuo di 1,324,121 €, correlato in particolare alla riduzione di giornate d’isolamento ospedaliero e dei costi associati a recidiva.
Ciò sottolinea l’importanza della corretta gestione del paziente, della scelta terapeutica, della presa in carico della malattia e della valutazione dei costi globali fin dalla manifestazione del primo episodio di ICD.
Analisi di scenario
Nello studio si sono valutati due scenari. Il primo con iniziale trattamento con vancomicina, riservando fidaxomicina a casi ad alto rischio di recidiva (paziente over 65, con ulteriori fattori di rischio per ICD, recenti ospedalizzazioni entro 3 mesi precedenti l’infezione, uso di antibiotici competitivi, uso di inibitori di pompa protonica al momento o dopo la diagnosi di ICD, precedenti episodi di ICD), dove le probabilità aumentano in presenza di più fattori di rischio e in pazienti che hanno fallito l’iniziale terapia.
Solo fidaxomicina per tutti i pazienti già a inizio terapia e in caso di recidiva: all’analisi di budget questa strategia si attesta la meno costosa per il sistema sanitario, nonostante l’alto costo iniziale, in confronto a pathway che usano vancomicina come primo approccio.
«In sostanza, la valutazione farmacoeconomica sulle due molecole indica che i benefici di fidaxomicina superano e bilanciano i costi d’implementazione del piano terapeutico, ovvero l’onere finanziario si associa a riduzione sostanziale delle attività ospedaliere e del periodo d’isolamento del paziente con ICD.
I 4.726 giorni di ospedalizzazione risparmiati all’anno sono significativi in uno scenario di carenza di personale clinico e infermieristico e di posti letto, e ai costi giornalieri associati, fra cui uso esclusivo della stanza del paziente con ICD, che va isolata, e successiva sanificazione dell’ambiente, e di relazione alle nuove sfide per soddisfare la richiesta di ricoveri dalla comunità cittadina.
La necessità di ridurre i periodi di degenza per liberare posti letto, in un contesto di popolazione in costante invecchiamento esposta a plurime cronicità, richiede implementazione di strategie e protocolli di cura sempre più flessibili, da cui le ICDs non sono escluse.
Lo studio pone però limiti, come l’analisi condotta solo in pazienti con una prima recidiva e non sulle eventuali seguenti e/o su altre implicazioni, o cure onerose come la chirurgia o trapianti intestinale. Infine, l’avere fatto un’analisi event based, piuttosto che patient based, aprendo la strada a nuovi studi valutativi e di follow-up».
Diverso approccio alla patologia
Lo studio ha indagato le modalità assistenziali adottate dagli infettivologi rispetto a internisti/MMG.
«La forte differenza d’importo iniziale tra le due molecole spinge gli infettivologi a prediligere l’approccio conservativo, facendo ricorso prima a vancomicina, a minore costo, passando alla più cara fidaxomicina in mancanza d’efficacia: tale approccio simula l’idea del buon uso di fondi pubblici ma a conti fatti, come mostra la nostra analisi, non è tale, mettendo in luce criticità e sostanziali differenze in termini di risparmio e outcome clinico.
Per esempio, è emersa l’efficacia di fidaxomicina nel ridurre il rischio di recidive, sviluppo di complicanze, nell’80% dei casi, smentendo l’idea di guadagno derivante dai 30 € iniziali, che salgono a 60 € dovendo poi impiegare una seconda scatola, con costi che si centuplicano per tutti i pazienti con ICD che, come abbiamo stimato, sono molti e con varie ricadute, e che gravano su un contesto di complessità all’origine».
Inoltre, da valutazioni di accettabilità e sostenibilità, emerge ancora una volta che fidaxomicina, benché più costosa, è in realtà più economica.
«Modellizzando per le Regioni, quindi facendo un budget impact riferito alla sostenibilità dell’approccio scelto, il prezzo di 1.500 € contro 30 € risulta accettabile perché genera un risparmio importante sui costi successivi, superiori a quelli ottenibili con il farmaco generico.
In sostanza, la molecola branded ha un costo inferiore per la Regione, quindi per l’ospedale, in relazione al contenimento di implicazioni, ricadute, effetti collaterali, governance assistenziale. Tali conti hanno portato gli infettivologi a cambiare rotta, perseguendo il pathway esclusivo fidaxomicina».
Criticità per la farmacia ospedaliera
Tale strategia sarebbe cruciale anche per farmacie e farmacisti ospedalieri, che però fronteggiano alcuni limiti: «a prescrivere il farmaco è il clinico, potendo
Inoltre, il farmacista ospedaliero deve considerare, nelle decisioni terapeutiche, i tetti di spesa imposti dal SSN, nello specifico l’ampia forchetta fra 30 e 1.500 €. Un gap che può portare, benché consapevole del vantaggio clinico di fidaxomicina, a optare per la soluzione più economica, benché meno performante, dovendo rendicontare e rispettare il budget plan».
In conclusione
L’analisi conferma che fidaxomicina rispetta le soglie di costo-efficacia accettate in Europa ed è sostenibile e vantaggiosa per il trattamento di infezioni da CD. I risultati forniscono evidenze utili per supportare decisioni cliniche e di allocazione di risorse del SSR, con implicazioni rilevanti per gestione delle risorse e qualità delle cure, quindi importanti in un contesto di farmacoeconomia e strategie di politica sanitaria. La questione resta, però, critica.
«Presentando contesto e analisi di budget agli alti vertici, come i direttori dell’AO che hanno la responsabilità globale e che a fine anno devono rispondere delle strategie, la scelta in sé non presenterebbe dubbi, orientando al farmaco più costoso ma più efficace per outcome clinico e di risparmio.
Dall’altro, però, se la decisione è lasciata ai tecnici, e tra questi i farmacisti ospedalieri, la decisione acquista maggiore complessità e un diverso peso. Che fare? A fronte della scelta affidata in prevalenza a Regione o al direttore generale, il singolo ospedale dovrebbe prendere posizione». Questione annosa e, al momento, di difficile risoluzione.
Bibliografia
- Ragni P, Stelluto V, Storchi Incerti S. Informazione sui farmaci, il Punto su Infezione da Clostridium Difficilis, 2013, n.3. Croce D, De Nardo F, Moumene S et al.
- Cost-effectiveness analysis (CEA) and budget impact analysis (BIA) of fidaxomicin vas vancomycin in Italy. ClinicoEconomics, 2024, Vol. 19, pag. 135-142




