MICI, presentato il consensus paper per migliorare l’aderenza terapeutica nel paziente

È stato presentato a Milano il consensus paper “Therapeutic adherence in inflammatory bowel disease: user guide from a multidisciplinary modified Delphi consensus”, dedicato a favorire l’empowerment del paziente affetto da MICI – malattia di Crohn e/o colite ulcerosa – quindi a essere parte attiva del progetto di cura, a comprendere come il rispetto del trattamento, condiviso in accordo con il medico, sia cruciale nel limitare insorgenza e rischio di recidive, a vantaggio della migliore qualità di vita.

Il documento, strutturato con 12 statements, frutto di un lavoro di 18 mesi, nasce dalla collaborazione di 33 gastroenterologi italiani, su tutto il territorio nazionale e da un board scientifico composto da membri con expertise mutidisciplinare, da clinici allo psicologo, e l’Associazione pazienti AMICI.

Una linee guida pratica, scaricabile gratuitamente, rivolta a clinici per un migliore inquadramento della condizione clinica, l’identificazione del paziente a rischio e delle opzioni di cura, e ai pazienti, fornendo strumenti di motivazione all’aderenza terapeutica. La guida è stata coordinata da Ferring Italia, esitata in un lavoro scientifico (1).

Raccomandazioni operative per facilitare l’adesione terapeutica del paziente con MICI. Definire i criteri validati, con 12 chiare raccomandazioni, per promuovere un approccio clinico più personalizzato, efficace e sostenibile nella gestione delle MICI, fornire al paziente strumenti e motivazioni, anche psicologiche, per non abbandonare, ridurre il trattamento in auto-diagnosi in caso di miglioramento della malattia e valutare le soluzioni ottimali, più aderenti alle esigenze personali del paziente – età, stili di vita, attività professionale e privacy, impegni quotidiani – promuovendo gli obiettivi di cura.

Sono questi i fondamenti del consensus paper che intende sfidare una delle principali criticità e bisogni più urgenti della pratica clinica: ottimizzare, sostenere l’aderenza terapeutica del paziente con MICI.

I dati raccolti dal panel di esperti coinvolti nel progetto attestano infatti che tra il 30% e il 60% dei questi pazienti non segue correttamente le indicazioni terapeutiche, con ricadute e “costi” importanti: un rischio 5 volte superiore, da studi di letteratura, di recidivare durante il decorso della malattia cronica, un sensibile aumento nel numero di visite, prestazioni diagnostiche, ospedalizzazioni che impattano sulla sostenibilità del SSN e peggioramento della qualità della vita della persona.

«Gli statements – spiega Alessandro Armuzzi, responsabile dell’Unità Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Irccs Istituto Clinico Humanitas di Milano – sono suddivisi in 3 macroblocchi, ciascuno contenenti 4 raccomandazioni. Il primo, riguardante la “Rilevanza del problema”, ovvero l’inquadramento dell’entità della malattia.

Il secondo sull’identikit del paziente a rischio, definendo alcuni tratti distintivi che espongono più di altri allo sviluppo di MICI, prevalentemente un soggetto maschio, giovane, single, con una vita complessa e/o un regime terapeutico complesso, una attività lavorativa particolare, fattori psicologici interpersonali o all’opposto l’anziano, con comorbidità e in politerapia.

Il terzo le “Strategie utili a migliorare l’aderenza”, identificate per esempio nella semplificazione del regime terapeutico, come una terapia da prendere solo al mattino nel giovane, il miglioramento della comunicazione medico-paziente, adottando linguaggio e strumenti funzionali all’età e alle caratteristiche del paziente, come supporti digitali per i giovani, un linguaggio semplice per gli anziani, con il coinvolgimento dei familiari e dei caregiver quando necessario, la scelta di approcci di terapia personalizzati, compreso il processo decisionale condiviso, che è associato a un miglioramento del 30-50% dell’aderenza al trattamento nelle MICI».

Il ruolo dell’associazione pazienti

L’Associazione AMICI ha avuto un ruolo primario nella conduzione del progetto, fornendo ai clinici i dati di una survey che ha coinvolto 800 pazienti con malattia, alla base della definizione del consensus paper, e che ha evidenziato alcune barriere che possono limitare l’aderenza terapeutica.

«Nel 40% dei casi – dichiara Salvo Leone, presidente di AMICI – la presenza di effetti collaterali costituiscono un importante deterrente, mentre nel 35% un ostacolo importante è rappresentato dalla treatment fatigue, un concetto nuovo che identifica la fatica nell’assumere una terapia a lungo termine, soprattutto nei pazienti giovani.
Fondamentale è anche la mancata comunicazione, ovvero una alleanza medico-paziente poco efficace, che invece dovrebbe essere solidale e fiduciaria per il buon raggiungimento degli obiettivi di cura.

Alcuni strumenti potrebbero potenziare questa relazione: il paziente dichiara che amerebbe avere uno stesso professionista che lo segue nel percorso di cura, una strategia dal punto di vista assistenziale non ottimale in quanto un paziente con MICI richiede una presa in carico da parte di un team multidisciplinare, ma dall’altro la percezione di un professionista che funge da regista e che segue tutto il percorso del paziente, in grado di rapportarsi con il malato, può essere un incentivo.

Inoltre, sarebbe buona norma inserire in maniera strutturale nel PDTA anche lo psicologo e offrire questo servizio al paziente che lo richiede. E non ultimo, famigliari e caregiver andrebbero coinvolti nel team di cura, con possibilità di accesso al supporto psicologico quando necessario».

Anche strumenti digitali, come app, terapie digitali, alert e promemoria, piani terapeutici semplificati, materiale educativo possono essere un ulteriore incentivo all’aderenza.

«Se questa non è ottimale – prosegue Salvo Leone – il rischio è il peggioramento delle condizioni cliniche della persona, da qui la necessità di riferire al medico tutti gli eventi avversi o la mancata terapia, potendo valutare un cambiamento di soluzione terapeutica, tale da limitare gli impatti sul peggioramento della salute del paziente e del carico per il SSN».

Il supporto psicologico

È un aspetto fondamentale dell’assistenza di questi pazienti, quale aiuto per imparare a convivere e gestire la malattia in maniera adeguata.

«Il modo in cui il paziente la percepisce – commenta David Lazzari, direttore UOC Psicologia dell’Azienda Ospedaliera di Terni, past president del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi – fa la differenza. E ciò varia in funzione delle varie età e degli impegni di vita, specie in malattie invasive e intermittenti come le MICI.

Aderenza alla terapia e qualità della vita sono legati anche a aspetti psicologici: ansia, depressione e disagio psicologico coinvolgono in misura 3-4 volte superiore questa categoria di pazienti rispetto alla popolazione generale, senza MICI, con in fasi acute fino a 40% di stati di ansia, 50% di sintomi depressivi medio-moderati.

Da studi di letteratura si evidenzia, tuttavia che gran parte di malati rimangono senza questo tipo di supporto e assistenza o con necessità di procurarsela a proprio carico: chiediamo che in tutte le aziende sanitarie e locali vengano istituiti servizi di psicologia per pazienti con MICI o con altre patologie di tipo cardiologico, oncologico, metabolico per ottimizzare i rapporti costi-benefici.

Ricordando, infine, che la scelta dell’approccio terapeutico va finalizzato all’età del paziente, all’impatto della malattia sulla qualità di vita e di tutti i giorni sfruttando tutti gli strumenti a disposizione: consulenza, counselling, psicoeducazione, empowerment del paziente, psicoterapie, fino a coinvolgere nel percorso di trattamento in adolescenza e nell’anziano anche famigliari e caregiver per migliorare la vita dei pazienti con MICI». Indiscutibilmente fragili.

Bibliografia
1. Dal Buono A, Armuzzi A, Caprioli F et al. Therapeutic adherence in inflammatory bowel disease: User guide from a multidisciplinary modified Delphi consensus. ScienceDirect.com. 2025 07; Volume 57 (7): 1404 – 1410. doi.org/10.1016/j.dld.2025.04.032