Nuove strategie terapeutiche in arrivo, non solo long acting ma anche nuove classi di farmaco e nuovi meccanismi d’azione.
I dati del Notiziario volume 37, n. 11, del novembre 2024 (1), redatto dal Centro Operativo AIDS dell’ISS, evidenziano per l’Italia una lieve crescita dei contagi da virus dell’immunodeficienza umana: nel 2023 sono state 2.349 le nuove diagnosi, contro le 1888 del 2022. È aumentata anche l’incidenza media, passata da 3,2 a 4 nuove diagnosi ogni 100 mila residenti; incidenza che resta comunque sotto la media europea, pari a 6,2 nuove diagnosi ogni 100 mila residenti.
Causa principale delle nuove infezioni sono i rapporti sessuali. Nel 47,7% dei casi le nuove diagnosi interessano adulti eterosessuali, mentre nel 38,6% si tratta di uomini omosessuali. Spesso le nuove diagnosi sono tardive, si verificano cioè in presenza di valori di CD4 inferiori a 350 cell/µL. Nel 2023 solo il 20% dei pazienti che hanno ricevuto nuova diagnosi hanno effettuato il test in seguito a rapporti sessuali a rischio, mentre la maggioranza per presenza di sintomi legati al virus. Siamo quindi ancora lontani dall’obiettivo dall’OMS di eradicare il virus HIV entro il 2030.
Il tutto in un momento storico che offre varie opzioni terapeutiche, alcune capaci di azzerare la viremia e, con essa, il rischio di diffondere il contagio. Tante sono anche le molecole in arrivo. L’obiettivo è rendere la terapia sempre più semplice ed efficace, per aumentare l’aderenza terapeutica e mantenerla alta nel lungo periodo. Fondamentale è anche il ruolo della terapia preventiva (PrEP), che protegge durante comportamenti a rischio.

«La PrEP si è rivelata ampiamente efficace ma richiede ai professionisti sanitari, tra i quali il farmacista ospedaliero, un’attenta organizzazione dei percorsi di presa in carico e offerta terapeutica e preventiva. Se pensiamo, poi, all’emersione del sommerso di HIV, fondamentale è anche andare sul territorio: in alcuni casi i soggetti a rischio o infetti sono homeless oppure convivono con comorbidità psichiatriche e spesso sono emarginati dalla società. Il nostro compito è trovare soluzioni appropriate che permettano di ridurre la diffusione del virus e in questo quadro iniziative come le Fast Track Cities sono di riferimento», sottolinea Francesca Vivaldi, dirigente farmacista dell’Asl Toscana Nord-Ovest e coordinatrice Area Scientifico-Culturale della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici.
Abbiamo discusso con la dott.ssa Vivaldi delle novità esistenti nella terapia antiretrovirale per HIV: «l’ultima innovazione, in ordine di tempo, riguarda i farmaci long acting, per ora disponibili solo per pazienti già stabilizzati e con viremia non rilevabile».
Long acting disponibili
I farmaci long acting già disponibili sul mercato si rivolgono a due target ben precisi: i pazienti già diagnosticati e stabili con viremia non rilevabile e pazienti che hanno sviluppato multiresistenza ad alcune classi di farmaco, spesso multifalliti. «Nel primo caso possiamo contare su una combinazione iniettabile di due molecole, cabotegravir (CAB) e rilpivirina (RPV), approvati per somministrazione intramuscolare ogni due mesi. In Italia tale combinazione è disponibile da maggio 2022. Il regime terapeutico è maneggevole e comodo, ma richiede alcuni accorgimenti, come la conservazione in frigorifero e il mantenimento della catena del freddo.
Inoltre, la somministrazione va effettuata in finestre terapeutiche precise, il che richiede stretta collaborazione tra Farmacia Ospedaliera e reparto di Malattie Infettive e un opportuno engagement del paziente; inoltre, servono locali adibiti alla somministrazione».
Simili le esigenze organizzative anche in relazione all’altro long acting usato nella terapia antiretrovirale per HIV: lenacapavir, rimborsabile per determina di AIFA dal 31/7/2023. «Il farmaco è somministrato sottocute due volte l’anno, in associazione ad altri farmaci perché il quadro clinico è spesso complesso. Prima di passare alla somministrazione iniettiva è richiesto un periodo buster con la stessa molecola in compresse, da assumere in dose di 600 mg al giorno 1 e 2 di trattamento, per poi scendere a 300 mg al giorno 8.
Per fortuna i pazienti multiresistenti e multifalliti sono una piccola percentuale, ma sono anche quelli che vivono peggio la malattia e che sono in costante lotta per trovare una combinazione terapeutica che porti un risultato».
Una terapia long acting che dia speranza e non appesantisca troppo il piano terapeutico è una buona soluzione.
La dott.ssa Vivaldi sottolinea che entrambi i farmaci sono al momento in sviluppo clinico su altri setting, dalle prime linee alle linee più avanzate e in diverse combinazioni.
Ruolo promotore del farmacista ospedaliero
Qual è l’impatto delle terapie long acting sul lavoro del farmacista ospedaliero? «I farmacisti ospedalieri sono abituati a lavorare in condizioni di complessità e spesso si fanno promotori dell’organizzazione dei flussi e del percorso logistico necessario perché tutto proceda al meglio, mediando tra i diversi attori in gioco, la dirigenza di presidio, il medico el’infermiere. Quando abbiamo avvisato i reparti dell’arrivo dei nuovi farmaci, in alcune situazioni sono subentrati timori rispetto alla messa a terra dei nuovi percorsi organizzativi e abbiamo fornito indicazioni per aiutarli a prepararsi. Siamo sempre noi a dare riscontro sui farmaci ordinati, sui pazienti trattati in un dato periodo e sul flusso del lavoro».
Il ruolo del farmacista, di presidio e non solo, è essere aggiornato sulle novità in arrivo e comunicarle ai clinici.
«Essenziale è anche l’azione di monitoraggio. Nella mia esperienza con i long acting, per esempio, ci sono aree dell’azienda sanitaria che seguo che si sono allineate più velocemente con l’uso delle nuove terapie, mentre altre hanno adottato le strategie long in misura assai inferiore, preferendo per la quasi totalità dei pazienti strategie orali.
Il mio compito è individuare le aree di disomogeneità, eventualmente ipotesi di miglioramento, informare gli specialisti e, se possibile, individuare le criticità che rallentano l’uso più appropriato delle risorse, fornendo nuovi spunti di riflessione».
Un ruolo fondamentale che richiede al farmacista ospedaliero una formazione costante. Queste competenze sono molto importanti anche al momento delle gare pubbliche per l’acquisto di prodotti.
«Fondamentale è semplificare la terapia, perché questi pazienti la assumeranno per tutta la vita, spesso in concomitanza con altre terapie che subentrano con l’invecchiamento: la semplicità favorisce l’aderenza terapeutica. Inoltre, la modalità di somministrazione intramuscolo può essere conveniente in relazione al mantenimento della riservatezza sulla propria patologia, prevenire lo stigma e in taluni casi favorisce l’aderenza terapeutica, in particolare in soggetti con pill fatigue».
Al momento restano fuori dal tema dei farmaci long acting pazienti di nuova diagnosi, donne gravide e adolescenti, ma la ricerca si sta concentrando anche su queste popolazioni per individuare i percorsi terapeutici migliori e più sicuri.
Soluzioni ancora allo studio
La ricerca è impegnata anche nell’individuazione di nuove molecole attive contro il virus HIV, meno tossiche per i pazienti, più efficaci contro le resistenze o più forti ed efficaci anche nei pazienti falliti.
Riprende la dott.ssa Vivaldi: «ci sono studi su nuove molecole parte della classe degli inibitori delle integrasi, classe di farmaci molto usata contro l’HIV (esempi sono GS-1720 e VH-184). Sono poi allo studio nuove classi di farmaci, come gli NRTTI, inibitori nucleosidici della trascrizione e della traslocazione, quali islatravir, che, oltre a un effetto di terminazione della catena già noto per gli inibitori nucleosidici, hanno anche un’azione di inibizione dello slittamento del filamento nascente di DNA che si sta formando a partire dall’RNA virale.
Una classe in grande fermento in termini di sviluppo clinico è quella di lenacapavir, inibitori del capside virale, molecole che agiscono contemporaneamente su più punti diversi del ciclo replicativo virale, avendo come target il capside.
Nel caso sia di lenacapavir sia di islatravir, come anche di vari farmaci in sviluppo clinico per il trattamento dell’infezione da HIV, un aspetto interessante è lo sviluppo di formulazioni farmaceutiche con modalità diverse di somministrazione e schedule diverse, nell’ottica di personalizzare il più possibile la formulazione farmaceutica rispetto alle esigenze dei pazienti. Tra le soluzioni allo studio ci sono anche gli inibitori della maturazione, su cui la ricerca lavora da molti anni e finalmente vicino alla commercializzazione.
Da ultimo, gli anticorpi monoclonali sono risultati molto utili contro il SarS-CoV-2. Lo sviluppo per HIV è interessante: si parla di infusione in vena, probabilmente solo due volte l’anno, con possibilità di abbinamento a una terapia sottocutanea due volte l’anno. In un certo senso i pazienti potrebbero diventare liberi da terapia. L’uso degli anticorpi monoclonali richiede, però, di sottoporre il paziente a un test di responsività prima della trasfusione, il che richiederà di pianificare al meglio i percorsi terapeutici.
Anche in questo caso, comunque, noi farmacisti ospedalieri siamo pronti: ci sono già farmaci per HIV che necessitano di un pre-test, perché non possono essere somministrati in presenza di certe mutazioni». Da ultimo, vediamo le novità per la PrEP.
Anche la PrEP può diventare long acting
Al momento in Italia l’unica terapia PrEP disponibile è orale e offre copertura del 97%, che sia assunta ogni giorno o solo in occasione di situazioni a rischio. I risultati degli studi HPTN 083 e 084 fanno, però, sperare che presto si potrà contare su una soluzione iniettiva long acting a base di cabotegravir, da somministrare ogni due mesi.
Un altro farmaco che ha dato esiti eccezionali in long acting è lenacapavir, come indicato dagli studi Purpose 1,2,3 e 4. Quale che sia la molecola usata, anche nella PrEP la facilità di adesione al regime terapeutico è fondamentale.
«Da maggio 2023 la strategia preventiva è rimborsabile, il che ne aiuterà la diffusione. Occorrono, però, percorsi a garanzia che la terapia venga assunta, perché gli studi internazionali confermano l’efficacia della PrEP orale se assunta con costanza, al contrario evidenziano anche un veloce abbattimento dell’efficacia».
Destinatari della terapia preventiva sono target definiti da UNAIDS (2). Il documento spiega qual è la popolazione più a rischio di contrarre l’HIV e come intercettarla e come allestire i programmi PrEP.
«Oltre ai long acting, sono in arrivo combinazioni terapeutiche, per esempio sono in sviluppo formulazioni che abbinano contraccettivi orali a molecole per la PrEP e farmaci che proteggono da altre infezioni sessuali (es. clamidia)».
Anche in questo ambito serve forte collaborazione tra farmacista, clinici, personale sanitario nel suo insieme e realtà umanitarie, per chiarire dubbi e favorire l’implementazione della profilassi sul territorio.
«Un altro aspetto importante riguarda i costi, che devono essere sostenibili, altrimenti l’impatto sul SSN potrebbe essere eccessivo».
Per supportare questa richiesta, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali ha elaborato un position paper.
Test and treat: fondamentale per tenere sotto controllo il virus
Quando si parla di HIV occorre considerare che il trattamento precoce e la stabilizzazione del paziente hanno importanti ricadute sociali e non solo personali. Per questo l’obiettivo è disporre di terapie test and treat che permettano di avviare da subito il trattamento in pazienti con nuova diagnosi. Lo stesso vale per il virus dell’epatite C.
«Quando un paziente risulta HIV+», spiega la dott.ssa Francesca Vivaldi, «si avvia il trattamento quanto prima, facendo il linkage to care. Bisogna evitare che il paziente se ne vada senza un nuovo appuntamento o una terapia avviata, perché può mettere a rischio altri individui. Non solo: prima si inizia la terapia e si riduce la replicazione virale, meno possibilità ha il virus di sviluppare resistenze».
Anche per questo è utile la diagnosi precoce: servono campagne di sensibilizzazione che inducano chiunque abbia avuto comportamenti a rischio, e non solo, a effettuare il test.
Inoltre, è importante creare una relazione con il paziente e in questo «il farmacista ospedaliero è avvantaggiato perché, erogando le terapie antiretrovirali entra in contatto periodico con i pazienti, creando con loro una relazione di fiducia. Possiamo quindi seguirne gli eventuali cambiamenti nei regimi antiretrovirali, fornire informazioni utili sui medicinali e sostenerne l’aderenza terapeutica. Non ultimo, possiamo restituire al clinico importanti informazioni rispetto alla casistica e all’aderenza ai trattamenti».
Riconciliazione terapeutica
Grazie alle terapie antiretrovirali sviluppate negli ultimi decenni, i pazienti HIV+ hanno un’aspettativa di vita sempre più vicina a quella della popolazione generale; il loro invecchiamento, però, comporta una nuova sfida: gestire le comorbidità.
L’infezione determina, infatti, uno stato infiammatorio che supporta lo sviluppo di patologie croniche non trasmissibili, come quelle cardiovascolari. Ma non solo. Il farmacista è così chiamato a valutare il piano terapeutico nel tempo, per effettuare la riconciliazione e verificare che non vi siano interazioni tra principi attivi.
Siti specifici, costantemente aggiornati, guidano il farmacista in questo lavoro: per fortuna i farmaci anti HIV di ultima generazione presentano di rado interazione con i farmaci per altre patologie. Per gestire le morbidità è importante la collaborazione multidisciplinare.
Il ruolo di SIFO
In quanto società scientifica di riferimento, SIFO ha un ruolo importante nei confronti dei farmacisti ospedalieri.
«Il nostro impegno sul tema infettivologico va dall’informazione ai colleghi, con pubblicazione periodica di contributi, realizzazione di progetti formativi residenziali, individuazione di criticità da affrontare.
Per esempio, una survey del 2023 ha messo in evidenza la necessità di implementare formazione specifica per i farmacisti in ambito infettivologico», spiega la prof.ssa Vivaldi. In linea generale, i dati sono buoni. Per esempio, è alta la proporzione di pazienti che usa le terapie a compressa unica, il che significa che i nostri specialisti nel tempo hanno rivalutato le terapie dei pazienti di lungo corso e hanno attuato scelte in linea con le più recenti linee guida e che vadano anche nella direzione della maggiore semplicità di assunzione.
Il capitolo di spesa per la lotta all’HIV è alto; quindi, va prestata attenzione scelte terapeutiche che costituiscano il migliore investimento in salute per i pazienti per assicurare la sostenibilità al SSN».
Fonti
- https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3492_allegato.pdf
- https://hivpreventioncoalition.unaids.org/sites/default/files/attachments/1.PrEP-target-setting_online.pdf