Deprescribing: vantaggi clinici, qualità delle cure e sostenibilità

Dati di pratica clinica e di ricerca mostrano un risparmio di risorse ed economico importante, migliori outcome per il paziente e un supporto al clinico nella definizione della scelta più performante nel proprio setting assistenziale e area terapeutica.

“Semplificare” posologia, dosaggi e modalità di somministrazione di una serie di farmaci a stretto indice terapeutico, quali anticoagulanti, antibiotici o antiepilettici, o deprescrivere terapie inappropriate in pazienti complessi, in prevalenza anziani, politrattati e in specifici setting, tra cui strutture ospedaliere e RSA.

Tutto ciò per potenziare l’efficacia terapeutica in termini di outcome clinico, miglioramento della qualità della cura e della vita del paziente, riducendo i rischi di effetti collaterali, tossicità o interazioni farmacologiche. E, non ultimo, favorire la sostenibilità del sistema, grazie all’ottimizzazione delle terapie e della gestione delle risorse, umane ed economiche.

Sono gli obiettivi del processo di Medication Review e deprescribing, in cui giocano un ruolo cruciale l’ottima formazione dei professionisti sanitari, in farmacovigilanza anzitutto, sostenuta in alcuni contesti da analisi e valutazioni di farmacogenetica e farmacocinetica.

Plurivalutazioni di alta precisione

Il governo delle politerapie, molto complesso, richiede expertise, conoscenza e una visione multidisciplinare sul farmaco.
«Per alcune terapie farmacologiche», spiega Gianluca Trifirò, professore ordinario di Farmacologia dell’Università di Verona, «possono avere un ruolo decisivo per la definizione terapeutica anche analisi di farmacocinetica e farmacogenetica, correttamente applicate.

Gianluca Trifirò

Valutazioni di farmacocinetica possono essere, infatti, necessarie in caso di farmaci a stretto indice terapeutico che richiedono, quindi, un Therapeutic Drug Monitoring. Fra questi rientrano, per esempio, alcuni antiepilettici, antibiotici, farmaci anti-HIV, per cui vengono misurate direttamente le concentrazioni ematiche, oppure indirettamente come nel caso dell’anticoagulante warfarin, per cui avviene la misurazione dell’INR (Rapporto Internazionale Normalizzato).

Queste analisi consentono di personalizzare la dose delle terapie, ottimizzando i benefici e minimizzando i rischi per il paziente, ma anche di valutare in maniera accurata e più opportuna le eventuali interazioni farmacologiche tra le varie terapie concomitanti. Evento altamente possibile nel paziente fragile ed anziano, sottoposto a politrattamenti per la gestione di cronicità e comorbidità presenti».

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