Il mondo biotech sta muovendo passi importanti nella cura del diabete di tipo 1. Per la prima volta, un paziente ha prodotto insulina senza assumere farmaci immunosoppressivi grazie a un trapianto di cellule pancreatiche modificate con la tecnica di gene editing Crispr, procedura sperimentata da Biotech Sana Biotechnology.
Coinvolgendo un solo paziente e una quantità limitata di cellule, è ancora presto per parlare di cura definitiva, ma il risultato preliminare lascia ben sperare, segnalando un’evoluzione decisiva nella ricerca clinica.
Autoimmunità distruttiva
Il 10% dei pazienti diabetici è colpito da diabete di tipo 1, che spesso compare in età infantile o adolescenziale.
Il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di insulina, lasciando al paziente la somministrazione insulinica quotidiana come unica terapia consolidata per compensarne la mancanza.
Trapianto di isole pancreatiche
Esplorata negli ultimi anni, l’alternativa di trapianto delle isole pancreatiche permetterebbe la ripresa della produzione insulinica naturale.
La tecnica presenta però due ostacoli legati alla scarsità di donatori e alla necessità di ricorrere agli immunosoppressori per evitare il rigetto, con conseguenti effetti collaterali anche gravi.
La possibilità dell’autotrapianto
Il problema del rigetto potrebbe trovare una soluzione grazie all’impiego di cellule staminali dello stesso paziente, riprogrammate per diventare cellule pancreatiche.
Il caso di una venticinquenne cinese a cui è stata applicata questa tecnica ha dato risultati incoraggianti, permettendo alla paziente di produrre insulina autonomamente dopo il trapianto.
L’uso di immunosoppressori per un precedente trapianto al fegato ha però impedito di valutare l’effettivo rischio di rigetto.
Invisibili al sistema immunitario
L’approccio innovativo ha modificato geneticamente le cellule del donatore affinché potessero sfuggire al sistema immunitario.
Tramite Crispr sono stati disattivati due geni chiave per il riconoscimento immunitario, e aggiunta la proteina CD47 che agisce come segnale protettivo.
Il paziente ha prodotto insulina per diversi mesi senza immunosoppressione, ma non è riuscito a raggiungere l’indipendenza completa.
Altre possibilità al vaglio
Il campo della ricerca in questo ambito è in fermento. Per esempio, Vertex Pharmaceuticals ha trattato 12 pazienti con cellule staminali embrionali differenziate, ottenendo per 10 di loro l’autonomia dalla terapia insulinica dopo 1 anno anche grazie all’uso degli immunosoppressori. Reprogenix Bioscience sta sperimentando, con risultati incoraggianti, cellule derivate da tessuto adiposo sotto copertura farmacologica.
Le strategie attuali, sebbene siano ancora su un piano sperimentale, confermano la validità della ricerca nel campo delle terapie cellulari per il diabete di tipo 1. Tuttavia, permangono problematiche importanti come costi elevati, complessità produttive, sicurezza ed efficacia su larga scala, prima di giungere a una reale svolta clinica.



